Non c’è due senza tre: quello strano feeling tra il Premio Brian e il Premio Signis

Spente le luci sulla 77esima Mostra del Cinema di Venezia, spiace che sia rimasto sostanzialmente ignorato dal mainstream Quo vadis, Aida?, il film al quale è stato assegnato il Premio Brian e che ha riscosso gli unanimi apprezzamenti della giuria. Non solo una pellicola conforme ai valori del premio stesso, ma un tanto coinvolgente quanto straziante racconto che a nostro sommesso avviso avrebbe meritato maggior attenzione e che speriamo in ogni caso di vedere presto nelle nostre sale.

D’altronde lo sfondo della storia, ambientata quasi per intero nel compound dei Caschi blu – uno spazio sempre più vuoto e sempre più claustrofobico al tempo stesso – è quello del massacro di Srebrenica nel 1995: una certosina pulizia etnico-religiosa dell’enclave musulmana in terra bosniaca compiuta sotto gli occhi inermi delle forze Onu e che ha lasciato dietro di sé più di ottomila morti ammassati in fosse comuni. Il primo genocidio su suolo europeo dopo la Shoah, storicamente certo e accertato, così vicino nello spazio e nel tempo ma già così distante nella memoria collettiva, già dimenticato o forse conveniente da dimenticare.

Se come dicevamo l’opera della regista Jasmila Žbanic non ha riscosso grande attenzione al Lido, oltre al Brian si porta però curiosamente a casa anche il Premio Signis quale «miglior film cattolico». Assurdo? Certamente un po’, ma forse meno di quanto possa sembrare. Non è nemmeno la prima volta. Stessa doppietta nel caso di Lourdes nel 2009 e di Philomena nel 2013. Due pellicole non proprio indulgenti nei confronti dei supposti miracoli e delle gerarchie ecclesiastiche in generale. E anche nel caso di Quo vadis, Aida? non abbiamo solo quel “quo vadis” all’apparenza paolino che ad autorevoli commentatori ricorda piuttosto la Baby «disperata ed esistenziale» (e certamente più profana, aggiungiamo noi) di Ultimo tango a Parigi a far pensare ad un grossolano malinteso della giuria del Signis. Nello scorrere della trama i peggiori carnefici, gli emblemi della violenza gratuita annichilente qualsivoglia diritto umano si rivelano quelli con il crocifisso al collo. Particolare che seppur con struggente soavità la regista non manca di inserire e sottolineare. E Aida altro non è se non la personificazione corale del grido di angoscia di tutti i morti e i morituri, di tutti i perseguitati per le differenze di religione, per la negazione in radice del valore e della matrice comune della nostra umanità. La vittima, prima ancora di suo marito e dei suoi figli, della cieca volontà di sopraffazione del dominante, che è poi a sua volta rapido ad invocare i diritti umani se passa ad essere dominato.

Forse qui sta la chiave per capire il Premio Signis per il miglior film cattolico sulla storia di chi per il solo fatto di non esserlo, cattolica, ha visto trucidare la sua famiglia e i suoi concittadini. Perché è più facile prendere le distanze dai cattivi con una targa a un film piuttosto che con una seria analisi se non altro dei rapporti di causa ed effetto, piuttosto che con una presa in carico delle proprie responsabilità, individuali e collettive. Per esempio nello specifico da quel prematuro riconoscimento della Croazia e della Slovenia come stati indipendenti da parte del Vaticano che ha rappresentato la prima vera scintilla nella polveriera balcanica. Ma per finire, molto più in generale, nel considerare come nessuna verità rivelata che pretenda di dividere il mondo in due, in un noi dalla parte giusta e legittimata e in un loro evidentemente da quella sbagliata, potrà essere d’aiuto o di supporto, potrà mai rappresentare la linea guida nella costruzione di una società con, per davvero, gli stessi diritti per tutti.

Adele Orioli

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4 commenti

mafalda

Che ipocrisia! E che gusto sadico nel premiare storie dove i cattolici fanno figure meschine. Del resto sono quelli che sostengono che l’illuminismo e la difesa delle donne hanno radici cristiane e in un futuro non lontano sosterranno di essere sempre stati dalla parte dei gay.

RobertoV

Formalmente la chiesa cattolica può dire che non c’entra visto che la netta maggioranza dei serbi è ortodossa ed i cattolici sono una minoranza: anche loro hanno come simbolo il crocifisso (un po’ differente). Quindi può usare il film contro le religioni cristiane concorrenti, tenendo conto che anche nei Paesi Bassi è religione di minoranza. Può usarlo per auto-assolversi dalle sue colpe storiche col classico, “vedete cosa fanno gli altri”. Inoltre può usare il sempre verde che “non si uccide in nome di dio” e che sicuramente saranno stati atei, non veri crsitiani, perchè fino a pochi anni prima erano comunisti.
Per non escludere che una parte dei suoi fedeli possa vedere il film come epico della eterna lotta contro i mussulmani e della difesa della cristianità.

Manlio Padovan

Cra Mafalda,
io credo che sia difficile incontrare una persona più squallida ed infame del prete (e della suora).
L’agire del prete è un agire pubblico pre-politico; ecco perché tanta somiglianza nella condotta tra prete e uomo politico. Solo che il politico è costretto a mediare, mentre il prete non media avendo alle spalle un sapere irrazionale ed inafferrabile che gli dà quel potere che lo sostiene.
L’ho già scritto e lo riscriverò ogni volta che se ne presenterà l’occasione: la religione “rèliga” un gruppo contro l’altro. Il prete porta discordia tra i gruppi ed è il nemico più subdolo della società, contro la quale agisce con spregevole e vigliacca determinazione. I preti meritano solo che si ritorca contro di essi quel sentimento che loro stessi inventarono nel basso medioevo per rapportarsi con chi non la pensava, e non la pensa, come loro: odium.
Pe loro e per i loro tirapiedi.

dissection

Non ricordo chi diceva che l’odio è un sentimento troppo nobile per sprecarlo con certe categorie. È più che sufficiente il disprezzo, con taluni individui.

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