Ruini ai parroci di Roma: «Invitate a non votare»

(di Luigi Accattoli. Fonte: il Corriere della sera)
«Si è scelto di non votare per due motivi. Il primo è la maggiore probabilità di successo, perché molti si astengono in ogni caso e dunque c’è già una quota di astenuti alla quale ci si va a sommare. L’altro motivo è la contrarietà a usare il metodo del referendum in materie così complesse»: con questa argomentazione il cardinale Camillo Ruini ha presentato ieri mattina ai parroci di Roma, durante la riunione mensile, l’indicazione di «non andare a votare» per i referendum sulla fecondazione assistita. L’incontro avveniva nella basilica di San Giovanni in Laterano, dov’erano presenti centinaia di parroci e cooperatori parrocchiali. Dopo una presentazione della posizione dell’episcopato, fatta dal cardinale – che è vicario di Roma e presidente della Cei – ha parlato Paola Binetti, esperta di bioetica e presidente del comitato «Scienza e vita». Il cardinale ha spiegato in dettaglio la scelta per l’astensione, che aveva formulato sinteticamente lunedì ad apertura del Consiglio permanente della Cei. Non ha mai citato Prodi – né Andreotti, o Scalfaro, o altri cattolici che hanno detto che andranno a votare, o che voteranno «no» – ma ha insistito sulla necessità che vi sia «compattezza» nella scelta astensionista. «Il non votare o il votare “no” – ha detto – sono scelte alternative tra loro, non possono essere praticate insieme. Se si decide di votare “no”, si va a votare e così si contribuisce al raggiungimento del quorum e quindi l’astensionismo viene vanificato. Se una parte si astiene e una vota “no”, finisce che quelli che votano “no” aiutano quelli che votano “sì”. Questo è elementare». […] L’importanza della questione il cardinale l’ha presentata così: «È il primo grande confronto pubblico, in Italia, sull’uomo, su chi è l’uomo nell’epoca delle biotecnologie. L’uomo è superiore alla natura, è immagine di Dio, o è solo una particella della natura? Sono in gioco le radici della fede cristiana e della nostra civiltà. Impegnarsi su questo caso è un dovere della Chiesa, prima che un diritto».

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