(di Mario Porqueddu. Fonte: il Corriere della Sera)
Se il suo male non è curabile, provoca sofferenze insopportabili che non possono essere alleviate, lo costringerà a non essere autosufficiente, magari a non poter comunicare, a dipendere dalle cure ospedaliere, a mantenere una qualità della vita bassissima e a morire comunque prematuramente. Se tutte o molte di queste condizioni si verificano, è accettabile l’eutanasia di un neonato? Perché di questo si tratta, sostiene il medico olandese Eduard Verhagen, ed è la scelta più difficile di fronte alla quale ci si possa trovare. «Però – dice – è venuto il momento di essere onesti: in tutto il mondo ci sono dottori che, “con discrezione”, mettono fine alla vita». Quindi bisogna parlarne. E il dilemma ora arriva negli Stati Uniti, dove il New England Journal of Medicine ha pubblicato il rapporto che dà notizia dell’eutanasia praticata su 22 neonati dal ’97 a oggi nei Paesi Bassi e del discusso accordo raggiunto nel 2002 tra pediatri e Procura a Groningen. In Olanda, da tre anni, si può dare la «dolce morte» a persone consenzienti sopra i 16 anni. Le norme non parlano dei neonati. Ma, nel silenzio della politica, medici e giuristi hanno affrontato il problema. Nel 2001 il dottor Verhagen invitò un procuratore a visitare un reparto di terapia intensiva neonatale. Lì, spesso, la vita finisce anche se nessuno lo decide. E ogni giorno i medici devono stabilire se iniziare una terapia o sospenderne un’altra. Dopo quella visita la Procura di Groningen consentì a Verhagen di studiare i 22 casi di pediatri che avevano «messo fine alla vita» di neonati affetti da spina bifida, arrivati in mano ai giudici dal 1997. La magistratura non aveva mai proceduto contro di loro, né si era mosso il ministero della Giustizia. Di fatto l’eutanasia veniva tollerata, ma non era ben regolata. Verhagen, però, scoprì che ogni volta venivano accettati i medesimi argomenti: quelli che ora fanno parte del «Protocollo di Groningen» (qui a fianco). Il testo da un lato individua tre categorie di neonati per i quali si può pensare all’eutanasia: bambini che non hanno chance di sopravvivere; bambini che possono vivere solo con terapie intensive e non guariranno; bambini la cui diagnosi non dà speranza e soffrono in modo insopportabile. Dall’altro garantisce ai pediatri di non essere processati se la praticano attenendosi a una serie di «stretti criteri». Regole che sono anche un invito alla trasparenza, perché Verhagen assicura che in Olanda i casi di eutanasia su bambini sono più dei 3, sui 200 mila nati nel Paese, registrati ogni 12 mesi. Già nel ’97 un’inchiesta di Lancet ne censiva 15 o 20 all’anno. Ieri la Associated Press citava altri dati, attribuiti al medico olandese, su ciò che accade nel mondo. In Francia 73 medici su 100 hanno ammesso di aver usato medicine per mettere fine alle sofferenze di un neonato (senza che la magistratura ne sapesse nulla). E una quota di medici compresa fra il 2 e il 4% farebbe lo stesso in Inghilterra, Spagna, Germania, Svezia e Italia.