Il Codice all’Indice

(di Massimo Gramellini. Fonte: la Stampa)

Gli apostoli del politicamente corretto, la vera religione di massa dei nostri tempi, si scandalizzeranno per le affermazioni dell’arcivescovo di Genova, che ha tuonato dal pulpito contro «Il Codice da Vinci», invitando «a non leggerlo e tantomeno a comprarlo». Eppure l’illustre porporato fa il suo mestiere, utilizzando un istinto difensivo maturato nei secoli per proteggersi da ciò che avverte come un pericolo. Resta da capire se il rimedio proposto, oltre a essere criticabile, sia efficace. All’epoca della Controriforma sicuramente sì. Ma oggi, senza guardie svizzere davanti alle librerie, è probabile che si tradurrà in un aumento delle vendite del romanzo, già clamorose. Nel suo desiderio di rievangelizzare l’Occidente inquieto e smarrito, la Chiesa ha tutto il diritto di scendere in polemica anche con un bestseller da autogrill. Ma non dovrebbe cadere nella vecchia tentazione di metterlo all’indice. Ogni eresia è sintomo di curiosità. E le curiosità non si tacitano con gli anatemi e i dinieghi stizziti. Funzionerebbe di più una divulgazione che non si limitasse ai convegni per specialisti, ma sapesse parlare al grande pubblico con la spregiudicatezza che animava i primi padri della Chiesa. Ciò che infatti dovrebbe allarmare il cardinal Bertone non è che 25 milioni di lettori in tutto il mondo si siano bevuti le storie del «Codice» sulla Maddalena e il concilio di Nicea. Ma che di quei 25, almeno 24 sapessero poco della Maddalena e quasi nulla di Nicea, offrendo memorie vergini alle spericolatezze esoteriche di Dan Brown.

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