La Margherita teme di «perdere» i vescovi

(di Massimo Franco. Fonte: il Corriere della Sera)
L’allineamento sta avvenendo lentamente, e con qualche ripensamento vistoso; ma nel centrodestra sembra quasi inesorabile. Il fatto che ieri Sandro Bondi abbia schierato «i cattolici di FI» per l’astensione al referendum sulla fecondazione assistita, implica alcune conseguenze. La prima è che difficilmente il plenipotenziario avrebbe parlato senza non solo il placet, ma l’incoraggiamento di Silvio Berlusconi: anche se finora, ufficialmente, il premier è rimasto sul vago. La seconda è che la sintonia con la Cei appare sempre più marcata. E questo mentre il Consiglio dei ministri non fissa ancora una data, prefigurando il voto a giugno. Sono tre dettagli che mostrano un governo deciso a difendere la legge in vigore, e ad assecondare le pressioni dell’episcopato cattolico. Nonostante la presenza di una frangia «referendaria» dentro FI, la maggioranza si sta orientando per il non voto. L’ultimo ad esprimersi è stato il vicepremier Marco Follini, segretario dell’Udc, che in passato aveva ipotizzato il «no» ai quesiti referendari. La stessa An e la Lega sarebbero favorevoli all’astensione. È l’«effetto Ruini»: il presidente della Cei ha spiegato e fatto spiegare che il dilemma per i cattolici non è se votare «sì» o «no», ma se sarà raggiunto o meno il quorum. La strategia è di spiegare che, a differenza delle elezioni, l’astensione è una scelta legittima; e di vanificare l’iniziativa. Per questo, la Cei non nasconde una punta di irritazione nei confronti di Romano Prodi, che ha annunciato che andrà alle urne da «cattolico adulto», senza precisare come voterà. I commenti positivi di radicali e diessini al suo annuncio, si fa notare, confermano che al fronte referendario non interessa l’appoggio o meno alla fecondazione assistita, ma solo che si arrivi alla maggioranza dei votanti. Il braccio di ferro sulla data è parte della diatriba. Per questo, i radicali chiedono al ministro dell’Interno, Giuseppe Pisanu, di «non fare regali frettolosi ai vescovi». «C’è tempo», ha ripetuto ieri il premier. E l’ipotesi che si voti il 5 o il 12 giugno, come vorrebbe la Cei, diventa sempre più verosimile. Ma il contraccolpo politico che si indovina va oltre: riguarda i rapporti fra le gerarchie e gli schieramenti. Nella Margherita, divisa fra astensionisti e fautori del voto, cresce il timore che l’appoggio ulivista all’iniziativa di Ds e radicali finisca per regalare a Berlusconi l’episcopato: e soprattutto il blasone di difensore dei valori cattolici. Ma per Prodi, battere l’astensionismo significa sconfiggere il governo; indebolire un Ruini sentito come ostile; e soprattutto evitare la collisione con gli alleati di sinistra. Il referendum prefigurerebbe due sfide intrecciate. Una, fra governo e opposizione; l’altra, fra due mondi cattolici agli antipodi. I fautori dell’astensione, ubbidienti alla Cei, tendono a identificarsi con il centrodestra: al punto che Bondi lancia la tesi ardita di un Prodi che si comporterebbe «da protestante, non da cattolico». I referendari rivendicano invece una religiosità «adulta», umiliata da un governo e da vescovi accusati di oscurantismo. Ma l’impressione è che si tratti di visioni contrapposte un po’ strumentali, nelle quali i calcoli politici pesano quanto i valori. E rischiano di proiettare sul risultato, qualunque esso sia, categorie e posizioni di rendita anacronistiche.

Archiviato in: Generale