Lite sull’aborto, il governo argentino toglie lo stipendio a un vescovo

(di Alessandra Coppola. Fonte: il Corriere della Sera)
La battuta quanto meno è infelice. Il ministro della Sanità? – sono le parole del vescovo Baseotto -. Bisognerebbe «legargli una pietra al collo e buttarlo al fiume». Il tema in discussione è la legalizzazione dell’aborto, il contesto la cattolica Argentina, la rabbia del prelato motivata dalle recenti aperture di Buenos Aires in materia. Una scivolata, però, quella frase di Baseotto, alle orecchie della Casa Rosada. Dichiarazioni «che diventano molto forti – reagisce a nome del governo Alberto Fernández – perché suggeriscono che si faccia qualcosa di simile a ciò che accadeva negli anni neri dell’Argentina con i “voli della morte”». Lo scontro con la Chiesa è aperto. Buenos Aires chiede la rimozione del vescovo, capo dei cappellani militari. Il Vaticano conferma Antonio Baseotto nel suo incarico. Il governo sceglie allora la linea dura: ieri mattina ritira il suo appoggio al prelato e gli annulla anche i 5 mila pesos di stipendio mensile (1.300 euro). Di fatto il vescovo è «licenziato» e messo nelle condizioni di non poter più operare. «L’accordo è rotto», annuncia il capo di gabinetto Fernández, al termine della riunione con il presidente Néstor Kírchner. Nel sistema argentino, in quanto Ordinario militare, Baseotto è equiparato a un vice-ministro e viene stipendiato dallo Stato. La sua designazione, nel 2002, era stata un’iniziativa della Santa Sede, alla quale, però, aveva dovuto far seguito l’approvazione del governo, guidato allora da Eduardo Duhalde. La scelta di Buenos Aires apre ora una seria crisi con il Vaticano. La tensione era salita già nei giorni scorsi. Dopo le prese di posizione del ministro della Sanità Ginés González García, favorevole alla legalizzazione dell’aborto e alla diffusione dei profilattici, e con l’arrivo per l’approvazione al Senato del Protocollo aggiuntivo della Convenzione sull’Eliminazione di ogni forma di discriminazione contro la donna (Cedaw), la Chiesa argentina aveva cominciato a far sentire il proprio malessere. Martedì la Commissione permanente della Conferenza episcopale aveva tenuto a ribadire, nero su bianco, che l’interruzione di gravidanza «è un crimine». E che il Protocollo, nelle misura in cui può aprire varchi per la legalizzazione dell’aborto, va accolta con diffidenza. Posizione per nulla condivisa dal governo, deciso a mantenere la propria rotta senza interferenze. Anche a costo di affrontare il capitolo dei rapporti Stato-Chiesa. Non sempre limpidi nel passato del Paese. Moltissimi i religiosi negli elenchi dei 30 mila desaparecidos negli anni della dittatura (1976-83). Ma molti anche i preti compiacenti. La frase di Baseotto sul fiume per alcuni ha riportato alla memoria gli aerei in cui, nudi e narcotizzati, venivano caricati donne e uomini da eliminare nelle acque del Río de la Plata. «Una morte cristiana, perché non soffrivano», aveva detto al capitano di corvetta Adolfo Scilingo il cappellano dell’Esma, la Scuola di meccanica della Marina allora trasformata in centro di tortura.

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