(di Michele Serra. Fonte: la Repubblica)
Per combattere i pregiudizi, forse la prima cosa da fare è che ciascuno ammetta i propri. Riconosco come pregiudizievole, per esempio, la mia invincibile antipatia per il tipo antropologico del militante ultra-religioso che brandisce crocifissi e cartelli “per la vita” davanti all’ospedale dove la signora Terri Schiavo è nelle mani del dubbio e del dolore. Dirsi “per la vita” è facile e gratuito quanto dirsi “per la pace”, o “per la felicità”. È per la vita Bush, uomo d’armi, per la vita gli antiabortisti estremisti che consideravano la madre solo un involucro del feto, per la vita, in questi giorni, sono i funerei esaltati che hanno trasformato una povera donna (già orfana di vita) in un feticcio politico, per la vita sono i nemici delle tecnologie riproduttive, che non ammettono altro genitore se non il loro Dio. Nei crocchi di supercredenti, cattolici e puritani, che manifestano per “non uccidere Terri”, ci sono sicuramente delle brave persone. Ma spaventa l’impossibilità manifesta di scalfire le loro certezze, la sicurezza avvampante (e violenta) di parlare nel nome del Cielo, la sordità preventiva nei confronti delle voci, confuse e limitate, della Terra. Viene sempre voglia di dirgli: sapete, abitiamo anche noi qui. E, se non disturbiamo troppo, la vita piace anche a noi.