(di Gian Antonio Stella. Fonte: il Corriere della Sera)
[…] Per carità, proprio nel 1948 non siamo. E perfino don Gianni Baget Bozzo, secondo cui il Cavaliere è un dono all’Italia dello Spirito Santo e «va considerato come un evento spirituale», non arriva alle vette toccate in quella campagna elettorale da padre Lombardi che si ergeva sulle folle acclamanti levando contro i comunisti le braccia al cielo: «Italia di San Francesco, di Santa Caterina, di Santa Chiara, di San Bernardino, di San Pio V, di don Bosco, del Cottolengo, di Santa Francesca Cabrini: ancora una volta drizzati in piedi!». In Vaticano (anche perché dall’altra parte non ci sono Stalin e Pietro Secchia, ovvio) non c’è un papa che ammonisca come Pio XII: «O con Cristo o contro Cristo!». Per le strade non passano le processioni della Madonna Pellegrina. E le parrocchie non fanno raccomandazioni di massa come quella filo-Dc di «mettere la croce dove ce n’è già una» e non distribuiscono volantini con scritto «Pensa, ragazza mia / al tuo sogno d’amor / combatti la follia / del bieco agitator». Da molto tempo, però, non si registravano tanti interventi diretti nell’agenda politica italiana che in certi momenti, senza risalire fino a Ernesto Rossi, avrebbero scatenato un coro di proteste: basta con le interferenze! Di più: esiste da parte di molti pastori d’anime una rivendicazione così piena del «diritto» della Chiesa a mettere il naso nella società che non si vedeva da quando il vescovo di Bologna Giacomo Biffi teorizzò: «La comunità cristiana è solo dei credenti; chi non crede non può e non deve interferire nella sua vita, nei suoi orientamenti, nelle sue scelte operative; le istituzioni pubbliche invece sono di tutti, quindi anche nostre; perciò noi conserviamo intatto il diritto di dare il nostro giudizio». Vale per la scelta del cardinale Camillo Ruini e della Cei di chiedere direttamente che il referendum sulla fecondazione assistita avvenga più in estate possibile e che i buoni cattolici non vadano a votare. Vale per una miriade di piccoli interventi, più o meno vistosi, più o meno invasivi, che costellano questa campagna elettorale. Anche a sinistra, s’intende. Si pensi all’appello lanciato da Don Luigi Ciotti «per rinnovare in occasione delle Regionali la fiducia all’assessore uscente alle Politiche sociali Gianluca Borghi (Verdi)». Alla decisione di don Andrea Gallo di benedire, non in chiesa ma in una cerimonia laica, Aldo Lombardi, il segretario spezzino di Rifondazione morto qualche giorno fa: «Io vedevo in lui un incontro fra marxismo e cristianesimo, la scelta per gli ultimi». O ancora alla protesta di Don Aldo Antonelli, il parroco di Avezzano che ha disdetto l’abbonamento Rai per «il continuo spot pubblicitario di una politica senza arte né parte» e che aveva distribuito due anni fa un volantino accusando Berlusconi d’essere «arrogante» e la destra «immorale e appiattita sulle posizioni di una economia senza anima». Ma è soprattutto da destra che arrivano le entrate a gamba tesa. Come quelle dei due preti di San Giovanni in Fiore contro la candidatura a sindaco nel paese silano del filosofo Gianni Vattimo. Bollato nelle omelie da padre Marcellino Vilella come «un pericolo per i giovani» e da don Emilio Salatino come «il diavolo che viene da Torino». O quella del vescovo di Frascati Giuseppe Matarrese. Il quale non solo ha invitato i fedeli, senza mezzi termini, a votare per Storace («Sono un uomo di destra, che male c’è?») ma ha convocato una riunione per presentarlo a tutti i preti della sua diocesi. Spingendo il cappellano dell’ospedale di Rocca Priora a omaggiare il governatore: «Lei ha servito i cittadini senza gloriarsene. Merita la riconferma». Una interferenza inaccettabile per i laici, ma impropria anche per altri prelati. Come il vescovo di Torino, Severino Poletto, che ha appena invitato i suoi preti a «tacere perché qualunque intervento potrebbe essere interpretato a favore dell’ uno o dell’altro schieramento». […]