(di Francesca Meneghetti – Associazione La Ginestra)
«Anche a Treviso negli ultimi anni – scrive Francesca Meneghetti dell’associazione La Ginestra – si sono delineati i segni di una nuova sensibilità di fronte alla morte, secondo un trend che riproduce quello di grandi città italiane del nord e città europee. Si è diffusa la pratica della cremazione (anche tra i cattolici). Sono stati introdotti, spesso silenziosamente, nuovi rituali, al seguito degli immigrati stranieri. Sono cresciuti i funerali civili che un tempo costituivano un evento raro. Di fronte a questi cambiamenti del costume si è registrata, da parte delle Istituzioni, una risposta abbastanza pronta in materia di cremazione, sotto la spinta di esigenze pratiche (come il sovraffollamento dei cimiteri, vedi il caso di Conegliano). Così il comune di Treviso ha liberalizzato la conservazione delle ceneri (ed eventuale dispersione), sulla scia del disegno di legge già approvato alla Camera dei deputati il 17 febbraio 2005. Ma il problema non è solo quello del destino del corpo. Numerosi disagi e difficoltà pratiche hanno rattristato fino a poco fa, familiari e amici di chi ha aveva espresso la volontà di avere un rito civile, dato che è stato loro assegnato, come indegno luogo per un commiato, il piazzale dell’obitorio. Per evitare che ciò si ripetesse, nel 2002 si è costituita un’associazione, La Ginestra, che è riuscita ad ottenere una piccola sala del commiato presso l’obitorio, già utilizzata una ventina di volte in circa sei mesi. Quando è stata inaugurata, il prosindaco Gentilini ne ha sottolineato il carattere provvisorio, in attesa di un luogo più idoneo, da lui denominato Supremum vale, da realizzarsi assieme al crematorio, a S. Bona. Abbiamo visionato il progetto. La sala rituale che vi è prevista appare funzionale a chi pratichi la cremazione, ma tale scelta non accomuna tutti i laici (di cui la Ginestra non può essere considerata come unica rappresentante). In ogni caso, questa sala oggi non c’è, e sono numerose le variabili che si possono frapporre: non ultime quelle di carattere economico, visto che il finanziamento statale di un milione di euro non copre la spesa: mancano ancora 400mila euro, non poco. D’altro canto la saletta dell’obitorio in più occasioni è stata rifiutata dai familiari: per le dimensioni contenute, oppure per scomodità (se uno è mancato a casa), o proprio per la sua collocazione, che evoca sensazioni di gelo e di impersonalità. C’è stato allora chi, come Marina Cattaneo, madre del noto artista Giulio Casale, ha potuto fruire della sala consiliare di Casier, concessa con sensibilità dal sindaco Daniela Marzullo. E chi, come il concittadino Bruno Barbon, solo pochi giorni fa, per dare l’addio alla moglie Tiziana, si è dovuto inventare una soluzione nel giardino della propria abitazione, seguendo un inedito rituale. A questo punto non possiamo considerarci appagati dall’esistente (e perciò dobbiamo correggere il titolo del Gazzettino del 20 marzo, “Sala del commiato, laici soddisfatti”): la sala dell’obitorio può restare valida, a nostro giudizio, come ipotesi minima. Ma c’è un abisso tra questo spazio e la serenità, il decoro e la bellezza di una chiesa. D’altra parte i laici non sono cittadini di serie B: pagano le tasse, ed hanno diritto di andarsene dal mondo a testa alta. Una città come Treviso, che nel suo passato ha espresso splendidi esempi di architettura civile, in campo pubblico e privato, non può offrire delle soluzione adeguate? Non intendiamo requisire un edificio o costruire un tempietto laico. Ma si possono individuare più siti che rispondano a caratteristiche di decoro, capienza, funzionalità, anche di bellezza, da utilizzare, solo al bisogno, al fine di garantire un profilo di piena dignità anche ai funerali civili».