La moderazione d’animo delle maggioranze politiche è, in sé, un pregio. Ma diventa viltà quando lascia il campo libero alle minoranza fanatiche. È una lezione, durissima, che arriva dagli stadi italiani, sequestrati dalle mafie ultras, impediti alle persone gentili per colpa di pochi mascalzoni. Ma forse ancora più significativa è la vicenda del film di Van Gogh, il regista olandese assassinato da fanatici islamici: televisioni e Festival cinematografici di mezza Europa hanno avuto paura di proiettarlo per timore di rappresaglie. Il risultato è che il film è stato presentato, in chiave pesantemente antimusulmana, da una piccola emittente di Pordenone, dando poi vita a un dibattito rozzo e intollerante, fatto di odio e insulti interreligiosi. In poche parole, il film è stato abbandonato a se stesso dalla cultura democratica ed è diventato arma della propaganda leghista e xenofoba. E il biasimo va tutto a chi non ha voluto o saputo farsi carico di un così eclatante problema di libertà, accettando che l’opera di Van Gogh, bella o brutta che sia, venisse prima oscurata dalle minacce dell’integralismo omicida e liberticida, e poi impugnata dai gongolanti fautori dello “scontro tra civiltà”. L’epoca è questa: ci vuole un coraggio speciale, in mezzo alla temperie del fanatismo religioso ed etnico, per essere ragionevoli e miti. Le urla degli esagitati coprono la pacatezza dei ragionevoli. Il silenzio non è un rimedio, è solo una fuga.
Fonte: la Repubblica.