Parla a raffica, con rabbia. Dice che «qua si aggiungono parole su parole», ma che quando queste si trasformano in sentenze è «costretto ad ingoiarle». Sì, con rabbia. Beppino Englaro, 64 anni, ha ieri letto la decisione della Cassazione: Eluana, sua figlia, 13 anni fa vittima di un incidente e da allora in stato vegetativo permanente, deve continuare a vivere. La richiesta del padre di staccare la spina è stata un´altra volta respinta. «Le battaglie per la libertà hanno un prezzo. E bisogna combatterle fino in fondo» è il suo amaro commento. «Io non voglio entrare nelle cose giuridiche ma nelle cose umane sì» aggiunge il padre che con la moglie risiede a Lecco, dove nel 1992 è accaduto l´incidente alla figlia, oggi 34enne. «Questa – prosegue – è una questione che riguarda la libertà personale nel senso più ampio della parola. Ho capito che tutti hanno paura del caso Eluana perchè è la prima volta che la società è costretta a confrontarsi proprio con il principio della libertà. Hanno paura – precisa con palese riferimento ai giudici che finora si sono occupati del caso – di creare un precedente». In questi anni Beppino Englaro ha tentato ogni cosa per ottenere la sospensione dell´alimentazione e dell´idratazione artificiale della figlia, cioè per chiudere l´agonia e farla morire. Ad esempio ha presentato ricorsi e rivolto appelli in ogni direzione (Ciampi e Sirchia compresi) ed è diventato sostenitore di una consulta biomedica sull´autodeterminazione. «Bisogna comunque – afferma – che chi si trova nelle condizioni di Eluana abbia diritto di urlare la volontà su cosa vuole fare della propria vita nello stesso modo di uno che è in grado di esprimerlo direttamente. Io sono sicuro che se Eluana potesse parlare direbbe ai giudici: io non volevo essere strappata alla morte, io voglio essere strappata a questa non vita». Parole che, ripete il padre, la stessa Eluana prima dell´incidente disse in più occasioni: «Sapeva che cos´è la rianimazione. Era andata a trovare un amico che aveva avuto un incidente e l´aveva vista. Si era resa conto dell´invasività. Se mi dovessi trovare in questa situazione, ci disse, voi dovete intervenire per far sospendere tutto, per non tenermi in quelle condizioni. Quella volta mia figlia andò in chiesa e accese una candela per quel ragazzo, per quel suo amico. Affinché morisse». Ma per la Cassazione non basta. Ieri i giudici hanno stabilito in sostanza che Beppino Englaro non può, in quanto semplice tutore e non curatore speciale dell´interesse di sua figlia, chiedere la sospensione delle cure che la tengono in vita, anche perchè mancano le carte che dimostrano che Eluana, in una condizione del genere, avrebbe voluto farla finita. […]
Fonte: L’Adige