Indymedia, radicali e sinistra si schierano contro la censura

Non è una prima assoluta. Succedeva anni fa quando si discuteva di aborto e divorzio, sta succedendo in questi giorni per i referendum sulla fecondazione assistita. Ma che i radicali e i giornali della sinistra si schierino dalla stessa parte resta una notizia. Questa volta l’argomento è Indymedia, il sito internet dei no global . E in particolare le pagine per cui la procura di Roma ha chiesto il sequestro: un fotomontaggio sul Papa, Ratzinger in divisa nazista con la svastica al braccio. Immagine ancora visibile, almeno fino a ieri sera, perché il sito appartiene ad una società brasiliana e la procura deve ottenere la collaborazione dei magistrati sudamericani. Quello stesso fotomontaggio ieri Liberazione l’ha messo in prima pagina. Il quotidiano di Rifondazione spiega che Indymedia funziona «non come un giornale ma come una bacheca»: ospita le opinioni e i contenuti forti, anche offensivi, non sono una novità. «Censurare un sito di questo tipo – si legge su Liberazione – equivale a mettere sotto processo un preside perché sui muri della sua scuola ci sono scritte offensive». Il manifesto ha pubblicato il fotomontaggio ma nelle pagine interne. Il giudizio sul sequestro? Anche qui un paragone: «È come se, a fronte di una vignetta vilipendiosa di Vauro un pm chiudesse insieme la tipografia, l’archivio storico e i furgoni che portano in edicola le copie del nostro giornale». Liberazione e manifesto , quindi, scelgono toni accesi e militanti, forse perché molto vicini a quel movimento no global che discute su Indymedia. Niente immagini invece sull’ Unità , che riporta la notizia secca, senza commenti. Per i Radicali è il segretario Daniele Capezzone a parlare: «Non ho particolare simpatia per Indymedia – spiega – visto che anche noi siamo stati oggetto dei loro feroci attacchi. Al di là di quell’immagine del Papa, il cui gusto ciascuno valuta, uno Stato libero e liberale deve sbarazzarsi di tutta la normativa che reprime i reati d’opinione per arrivare al modello anglosassone, in cui ognuno può dire quel che vuole ma è chiamato a risponderne. In una democrazia anche i nemici devono poter parlare, non solo perché i loro diritti siano garantiti ma perché è meglio che lavorino alla luce del sole piuttosto che nella penombra». […]
Lorenzo Salvia sul Corriere della Sera

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