Come non essere d’accordo con l’affermazione che avere un figlio non è un diritto? Tanto più quando è accostata alla alternativa – si suppone più generosa – della adozione. E tuttavia questo tipo di argomentazione a sostegno della legge 40 sulla fecondazione assistita e per il no ai referendum (cfr. anche Leonardo Zega sulla Stampa del 7 maggio) ha poco a che fare con la legge, e con i contenuti del referendum. In primo luogo perché la riproduzione assistita – anche nei contesti più liberali – non garantisce affatto un figlio. Consente di provare ad avere un figlio a coloro che viceversa «naturalmente» non potrebbero per la sterilità dell’uno o dell’altra. O è opportuno che non tentino, a motivo di gravi malattie genetiche trasmissibili. […] In secondo luogo, la legge 40 restringe il campo di applicazione proprio alle coppie dimostratamente sterili – implicitamente riconoscendo loro e solo a loro il diritto a tentare. Quindi ciò che è in questione non è il diritto o meno di queste, appunto, ad avere un’altra possibilità. Chi vuole modificare la legge desidera che questa possibilità sia allargata anche alle coppie in cui il problema non sta nella sterilità di uno o dell’altro, ma nella opportunità – dettata dall’amore e dalla responsabilità – di non trasmettere al nascituro malattie genetiche gravi, che ne metterebbero a repentaglio la stessa sopravvivenza. La questione della fecondazione cosiddetta eterologa sta soprattutto qui, prima e più che nella eventuale estensione della possibilità di generare anche a chi ha un compagno/a sterile, o a chi non sta in una relazione di coppia. Sempre che non ci riesca con il metodo… naturale, per fortuna ancora non proibito per legge. Quanto alla alternativa della adozione, stupisce innanzitutto che se ne proponga una visione come di gesto riparatore della sterilità. È dagli anni 60 che per adottare non occorre più essere sterili. Perché l’adozione deve rispondere al bisogno di appartenenza e accudimento di un bambino, non alla impossibilità di procreare. Di più, la facilità, e superficialità, con cui si evoca l’adozione come alternativa al ricorso alla fecondazione assistita nasconde il fatto che l’adozione è un processo lungo, difficile. Non solo perché, fortunatamente, ci sono più domande di adozione che bambini adottabili; ma perché richiede competenze psicologiche e relazionali specifiche, e aggiuntive rispetto a quelle necessarie in ogni rapporto di generazione. I bambini non sono pacchi postali che si spostano agevolmente da un luogo e ambito relazionale all’altro. È anche in atto, da parte delle associazioni che si occupano di bambini in difficoltà, un ripensamento della adozione come principale strumento per venire incontro ai bisogni di questi. Altro che adozione alternativa alla fecondazione assistita.
Chiara Saraceno sulla Stampa