Gli estremisti islamici impugnano le armi, scendono in piazza. E migliaia di persone, immediatamente, li seguono. I primi prendono d’assalto il carcere, liberando 23 detenuti sotto processo per «attività anticostituzionali». Gli altri occupano le strade e le piazza, invocando «democrazia e lavoro». Così Andijan, città di trecentomila abitanti al confine orientale dell’Uzbekistan, si è trasformata per alcune ore in un campo di battaglia. Il bilancio parla di almeno nove morti, palazzi incendiati, razzie nei pochi e sguarniti negozi. Tutto è cominciato nella notte fra giovedì 12 e venerdì 13 maggio. I ribelli armati sarebbero stati poco più di un centinaio: hanno preso d’assalto una stazione della polizia stradale e una caserma militare, si sono impossessati di molte armi da fuoco e quindi hanno espugnato un affollato carcere di massima sicurezza da dove ha liberato almeno duemila detenuti. Buona parte della città li ha subito seguiti. […] Nei giorni precedenti l’insurrezione di Andijan, il giornalista pakistano Ahmed Rashid, uno dei massimi conoscitori della zona, aveva evidenziato il rischio che il Movimento islamico uzbeko dell’Imu, «anche se dormiente dopo la forte repressione» attuata dal regime di Islam Karimov potesse sfruttare le «gravissime condizioni economiche e sociali in cui vive la popolazione» per far scattare una rivolta. I «gruppi fondamentalisti – spiega Rashid – sono l’unica struttura organizzata, in totale assenza di una opposizione». Erano stati sempre gruppi di estremisti islamici, nella prima settimana di maggio, a scendere in piazza ad Andijan per chidere la liberazione di 23 giovani del posto finiti sotto processo per aver partecipato in ad una serie di «azioni anticostituzionali» organizzate dal movimento musulmano Akromia.
Fonte: l’Unità on line