[…] L’intera vicenda della legge sulla procreazione assistita è nata, si è sviluppata e si svolge all’insegna di una regressione istituzionale, e ormai ha assunto i caratteri di una inequivocabile, anche se indiretta, messa in discussione della stessa Costituzione. È un segnale inquietante, che scavalca la legge in discussione, e che quindi esige da tutti una valutazione approfondita che vada oltre l’occasione referendaria. […]
Il riferimento alla tutela del concepito è tratto dalla sentenza con la quale, nel 1975, la Corte costituzionale dichiarò parzialmente illegittimo l’articolo del codice penale che puniva chi interrompeva la gravidanza di una donna consenziente, avviando così quella depenalizzazione dell’aborto che avrebbe poi trovato pieno riconoscimento nella legge n. 194 del 1978. Ma che cosa dice davvero quella sentenza, pronunciata da una Corte presieduta non da un pericoloso relativista laico, ma da un rigoroso esponente dei giuristi cattolici, Francesco Paolo Bonifacio? Parla sì di un fondamento costituzionale per la tutela del concepito, ma immediatamente dopo aggiunge: “questa premessa va accompagnata dall’ulteriore considerazione che l’interesse costituzionalmente protetto relativo al concepito può venir in collisione con altri beni che godano pur essi di tutela costituzionale e che, di conseguenza, la legge non può dare al primo una prevalenza totale ed assoluta, negando ai secondi adeguata protezione”. E, con assoluta nettezza, conclude così: “non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare”. Letta nella sua interezza, quella decisione va dunque nella direzione opposta rispetto a quella verso la quale i sostenitori della legge vorrebbero forzarla. È inammissibile quella sorta di dittatura dell’embrione, che ispira l’intera legge, perché all’interesse del concepito non può darsi una tutela assoluta che travolga ogni altro interesse in gioco e perché l’embrione non può essere considerato persona. Attenzione: il discorso della Corte è tanto più forte in quanto, pur usando termini come concepito e embrione, in realtà si riferisce al feto, dunque ad un embrione in uno stadio molto più avanzato e già impiantato nel corpo materno. A maggior ragione, quindi, esso vale per embrioni nei loro stadi iniziali e ancora non impiantati. […] Forse bisognerebbe riflettere sulle sagge sentenze ricordate all’inizio, che non negano tutela giuridica all’embrione, ma indicano come la via corretta per farlo non sia quella dell’orgoglio ideologico, ma della sobrietà democratica. Che non impone impossibili equiparazioni, ma si impegna nel distinguere e nell’offrire discipline differenziate, permettendo pure quel confronto continuo che, solo, può consentire la nascita di posizioni comuni, come stava accadendo prima dell’improvvido intervento legislativo. È troppo tardi per tornare su questa strada, per fermare la decostituzionalizzazione ideologica dell’intera Costituzione? La discussione sui referendum dovrebbe aver aperto gli occhi di molti. Dopo il voto, e quale che ne sia l’esito, verrà il momento per rivendicare con forza, contro risse e forzature, le ragioni di una politica colta e appassionata. A condizione di saperlo fare.
Stefano Rodotà sulla Repubblica