Abu Dhabi vieta il velo alle impiegate

A volte il mondo gira proprio alla rovescia. Mentre nell’emancipatissimo Occidente il velo islamico, anche nella versione integrale castigatissima, attrae una fetta di donne musulmane, tra cui delle convertite, nel maschilissimo mondo islamico cresce la denuncia e la diffidenza nei confronti di un abbigliamento che celando l’identità di chi lo indossa crea seri problemi sul piano della sicurezza e del controllo sociale. Paradosso nel paradosso è il fatto che oggi sono gli uomini, detentori e gestori del potere nei Paesi islamici, a scagliarsi contro il velo integrale nel nome della realpolitik a dispetto della loro cultura misogina. Per contro sono talune donne velate, anche le più istruite e socialmente altolocate, a battersi per la salvaguardia di un costume percepito come un dovere prescritto dal Corano e un diritto sancito dalla libertà individuale. […] Ed è di qualche settimana fa la decisione dell’Ente di gestione dell’amministrazione pubblica di Abu Dhabi, la capitale degli Emirati Arabi Uniti, di proibire il niqab in tutti gli uffici della pubblica amministrazione. Ufficialmente per combattere la piaga dell’assenteismo incontrollabile. Le impiegate, dopo aver timbrato il cartellino, si dileguano nel nulla avvolte e protette dal niqab .
Una decisione che è stata avallata dallo sheikh Ahmad al-Kabisi tramite una fatwa , un responso giuridico, in cui il dignitario islamico spiega che il niqab sarebbe prescritto alle sole donne del profeta Mohammad (Maometto): «La gente ha il diritto di riconoscere l’identità della persona con cui deve trattare affinché non si senta ingannata. L’obbligo del niqab ricadeva solo sulle mogli del profeta perché loro sono le madri di tutti i fedeli. Ma nessun’altra donna ha questi requisiti». La conclusione del giureconsulto islamico è netta: «Il mostrare il proprio volto al pubblico è consentito dall’islam ed è imposto dalle esigenze del lavoro. Le donne che non sono d’accordo si cerchino un altro lavoro in cui non siano costrette a mostrare il volto». […]
Magdi Allam sul Corriere della Sera

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