Per nove anni Presidente della “Authority per la Privacy”, Stefano Rodotà non è soltanto un prestigioso giurista: è uno dei pochi giuristi capaci di interpretare il diritto in termini non soltanto formali. Dunque, a quarantott’ore ore dal referendum contro la legge 40, ha un valore particolare la sua denuncia: «È in pericolo uno dei caposaldi della democrazia: la libertà e la segretezza del voto». Perché? Per ragioni generali: già da un pezzo questa essenziale prerogativa è messa in discussione – per esempio da uno strumento nient’affatto “innocente” come la tessera elettorale. Ma anche e soprattutto per la modalità politica assunta da questa campagna elettorale, che ha di fatto ridotto le scelte al Sì e al non voto: perciò la viscerale campagna astensionista messa in atto da forze come la Chiesa cattolica, o da esponenti dei poteri istituzionali, determina inedite possibilità di controllo sociale. Il 12 e 13 giugno, nelle piccole comunità, nei paesi, in tutti i luoghi in qualche modo “circoscritti”, la scelta di andare o non andare a votare sarà pubblica, sotto gli occhi di tutti: come farà ad essere davvero una scelta libera? Rodotà conforta questo nostro sospetto, anche alla luce di quell’articolo della legge elettorale (l’articolo 98) che vieta ai ministri di culto e alle autorità di abusare della propria collocazione per influenzare il comportamento degli elettori. E ci richiama, infine, ad alcuni tratti incostituzionali della legge sulle Pma. Di cui si dovrà pur tener conto, anche a referendum celebrato. […]
L’intervista di Rina Gagliardi a Stefano Rodotà è sul sito di Liberazione