IL risultato del referendum non è solo una sconfitta: è il naufragio di un’Italia laica che si proponeva di cambiare una legge ideologica, per regolare poi diversamente in Parlamento la materia della fecondazione assistita. Questo era il senso della chiamata alle urne, fuori dagli schieramenti, dagli integralismi, dalla retorica apocalittica che ha trasformato assurdamente il voto in uno scontro di civiltà. Le urne sono rimaste deserte. Chi ha trasformato il confronto in uno scontro tutto italiano tra il Bene e il Male, ha poi chiesto ai difensori del Bene di non scendere in campo, per mandare a vuoto la battaglia. Non sappiamo dunque chi sarebbe prevalso, in uno scontro aperto di valori contrapposti, tra il “sì” e il “no”. Un dato solo è certo: ha perso chi (come questo giornale) voleva cambiare la legge. Ha vinto chi voleva conservarla e per prevalere ha affondato con ciò che resta del laicismo anche il vecchio istituto del referendum, che per molto tempo scomparirà dalla scena italiana. […] Davanti a sé la Chiesa ha trovato i partiti della Seconda Repubblica, tutti nati o trasformati nel corso dell’ultimo decennio, senza un deposito di storia e di tradizione, un portato di valori consolidati a cui far riferimento. Una politica dove molto è prassi, tutto è contemporaneo, l’identità è incerta. A sinistra, per la tragica eredità del comunismo, la tradizione è inservibile, come se fosse tutta radioattiva. Nel nuovismo, non mancano solo i nomi, ma anche i riferimenti culturali della sinistra europea moderna e risolta, e dunque la battaglia delle idee diventa insicura, senza visione e senza certezza, con il rischio di essere in ogni momento gregaria delle mode culturali dominanti. A destra, il berlusconismo ha fallito l’unica vera ricerca dell’immortalità, che non sta nelle ricette antirughe del dottor Scapagnini, ma nel progetto di dare alla destra una moderna cultura conservatrice in un Paese che non l’ha mai avuta, democristiano com’era. In questo quadro, arriva il Dio italiano predicato dalla Cei, una sorta di via italiana al cattolicesimo che non c’era mai stata, nella nazione della “totalità” democristiana e della surroga papale. Fatalmente, o almeno facilmente, la Chiesa a questo punto viene vista da una parte del mondo politico come l’ultima e l’unica agenzia di valori perenni e universali dopo la morte delle ideologie terrene del Novecento e il deperimento fisico delle storie politiche che le avevano incarnate. Dall’altro lato, Chiesa e Vaticano vedono l’Italia improvvisamente come un gregge senza guida e senza rotta, soprattutto senza più idee forti, incapace di tradurre la laicità dello Stato in uno spirito repubblicano libero e autonomo: il terreno ideale per sperimentare – ed è la prima volta in cinquant’anni – una sorta di “protettorato dei valori”, l’esercizio di un potere non più temporale ma culturale della Chiesa. […]
L’articolo di Ezio Mauro è su Repubblica