Randy Burns, il Due Spiriti che ha guidato ieri la grande parata omosessuale di San Francisco, si impone come un totem indiano. Annuncia che la battaglia è sì per i diritti ma è anche per le tradizioni. Dietro di lui, decine di altri nativi americani a confermare: dicono che l’emancipazione passa per la riscoperta delle origini e dunque di una diversità che, prima della vittoria dell’uomo bianco, in molte tribù era apprezzata, addirittura valorizzata. Così, la battaglia di gay, lesbiche, bisessuali e transgender degli Stati Uniti fa un nuovo salto, questa volta porta lo scompiglio nelle riserve indiane: la San Francisco Pride Parade, la più grande manifestazione al mondo di «orgoglio omosessuale» (ieri c’erano un milione di persone, a piedi, in moto, in bicicletta, in monopattino), ha deciso di alzare la bandiera dei popoli che considera oppressi due volte. Ma in questa circostanza deve allearsi con i difensori della tradizione, contro i contaminati dai movimenti più nuovi. […] In molte comunità indiane, però, il passato è rifiutato, considerato una palla al piede: e molti nativi diventati militanti del movimento evangelico si oppongono duramente al matrimonio tra persone dello stesso sesso. Un cherokee di Phoenix, in Arizona, diceva ieri durante la parata che dalle sue parti – piena Bible Belt , la Cintura della Bibbia che cinge il Sud del Paese – i problemi per chi vuole difendere le tradizioni degli avi sono seri. «L’omofobia – sostiene Wesley Thomas, un antropologo navajo – ci è stata insegnata come componente dell’educazione e della religione occidentale. Ci è stato trasmesso un intero set di tabù che non corrisponde ai nostri modelli originali. Come risultato di questa falsificazione, la nostra nazione non ci accetta più come una volta». Tra balli, concerti, abbracci e baci, la parata omosessuale ha quindi aperto un nuovo fronte: questa volta, a difesa delle tradizioni. […]
L’articolo di Danilo Taino è sul sito del Corriere della Sera