«Ho solo 38 anni – si lamentava Ghada – e mi sento come se fossi andata in pensione». Colpa del bando al foulard. Da quando aveva deciso di indossare il velo, seguendo l’esempio di una collega, niente più apparizioni in video. E progressivamente sempre meno programmi in tv: cancellati anche quelli in cui restava dietro la telecamera e accompagnava le immagini con la voce. Un boicottaggio, era la sua accusa, legato alla recente scelta di coprirsi capelli, collo e orecchie con l’hijab. Non solo in privato, ma anche sul posto di lavoro. Adesso un tribunale di Alessandria d’Egitto le ha dato ragione e ha stabilito che lei e le sue due colleghe che hanno fatto ricorso, Hala Al Maliki e Rania Radwan, possono riapparire sul quinto canale della televisione pubblica: il foulard, sostiene la sentenza, è una «libertà personale», sancita dalla Costituzione. Vittoria per le conduttrici islamiche, anche se la Corte ha negato il risarcimento di un milione di lire egiziane (140 mila euro). Sconfitto lo Stato. Il dicastero delle Comunicazioni farà ricorso, in difesa del bando all’hijab sulle tv pubbliche, fortemente voluto dall’ex ministro Safwat Al Sherif (oggi presidente del Parlamento). L’amministrazione della rete continua a sostenere le proprie ragioni: le tre presentatrici avrebbero dovuto continuare a lavorare abbigliate così come si erano presentate al colloquio d’assunzione e così come avevano continuato a fare nei primi anni di servizio; l’hijab sui capelli sarebbe una motivazione valida per sciogliere il contratto. […] L’argomento è destinato ad alimentare discussioni ancora a lungo. Ma intanto c’è chi ha fiutato il business. Subito dopo la sentenza di Alessandria, un’azienda produttrice di foulard ha comprato una pagina sul quotidiano indipendente El Masri El Yom . Testimonial della nuova campagna pubblicitaria: le tre conduttrici del quinto canale, che adesso si mostrano orgogliose muhajjabat , velate.
L’articolo di Alessandra Coppola è disponibile sul sito del Corriere della Sera