«Se voi non tirate giù le vostre croci noi non tireremo giù il nostro Buddha». È «guerra santa» sulle vette. Partita come provocazione di un gruppetto di guide alpine valtellinesi, la polemica adesso rischia di esplodere. Proprio come quella sul crocifisso a scuola o nelle aule del tribunale. Tutto inizia qualche giorno fa, quando sulla cima del Pizzo Badile (3308 metri), in Valmasino (Sondrio), viene issata una statua di Buddha alta un metro e trenta e pesante venti chili. La portano sulla vetta Jacopo Merizzi, 46 anni, guida alpina che ha aperto decine di vie, Lupa Maspes, 33, scalatore di punta con imprese anche sull’Himalaya, Mario Scarpa, 33, e Giovanna Novella, 25. «Ci siamo divertiti da matti – dicono – poi abbiamo deciso di lasciarla lì. Almeno sino a quando sulle vette non spariranno tutti i simboli religiosi. C’è ormai una smisurata fioritura di croci e lapidi che, con il ritiro dei ghiacciai, è diventata la grande piaga delle nostre alte montagne». Un pretesto «ecologico» che però ha aperto il dibattito: le croci sono testimonianza di fede o inquinamento ambientale? E soprattutto, se ci stanno i simboli di una religione perché non ci possono stare quelli di un altra? È categorico Reinhold Messner: «Né croci, né Buddha». «Bisogna finirla con lo sfruttamento delle cime – dice -, le montagne sono già un simbolo del divino, non hanno bisogno di emblemi religiosi. Quando si arriva in vetta basta fare come si usava una volta, costruire un ometto di sassi». […]
L’articolo di Luigi Corvi è stato pubblicato sul sito del Corriere della Sera