Nuovo interessante intervento di Eugenio Scalfari sul numero odierno di “Repubblica”. Scrive tra l’altro Scalfari:
Ruini e ciascuno dei suoi colleghi, se volessero, potrebbero concorrere alle elezioni, essere eletti, partecipare al governo. Ma tutti sappiamo, a cominciare da loro stessi, che un fatto del genere ripugnerebbe alla coscienza nazionale e quindi non lo fanno. Non lo fanno ma potrebbero. C’è dunque un impedimento morale più forte del diritto di cittadinanza. Qual è questo impedimento? La Chiesa è portatrice di valori assoluti e di assolute verità che le vengono dal suo corpo dottrinale, dalla sua tradizione, dal suo pensiero teologico. La sua struttura è gerarchica e culmina in un vertice che ha poteri assoluti ancorati addirittura al dogma dell’infallibilità. Ne segue che esiste una lampante incompatibilità tra un regime democratico e una religione ancorata a valori assoluti e dogmaticamente istituzionalizzati. I vescovi, ancorché cittadini italiani, sono vincolati all’obbedienza alla loro gerarchia, nominati da un’apposita congregazione col beneplacito del papa, vincolari a dogmi emanati dalle encicliche e dai Sinodi. Perciç sono eterodiretti rispetto alle istituzioni italiane. In più, operando in regime concordatario, fruiscono di benefici tutt’altro che marginali. In queste condizioni affermare che i vescovi e il clero in generale siano cittadini a pieno titolo è falso. Non lo sono. Possono votare ma non possono farsi eleggere e partecipare ai governi se non riducendosi allo stato laicale. E tuttavia questa norma di tutta evidenza non figura nella vigente legge sulle incompatibilità. Questo ragionamento tende a dimostrare non solo che l’esercizio passivo del diritto elettorale è precluso ai titolari delle diocesi ma, soprattutto, a chiarire che esiste altresì un limite alle loro esternazioni.