Dall’Indonesia alla Gran Bretagna, dall’Iraq a Israele, dall’Algeria alla Turchia, è l’apostasia il male dell’islam che scatena il terrore. La radice dell’odio che trasforma una persona in robot della morte risiede nella condanna di tutti coloro che non sarebbero dei «veri musulmani», finendo per legittimarne il massacro. Un male e un odio che hanno messo radici anche in Italia. Solo all’indomani delle nuovi stragi di Bali si è compresa la gravità di ben 11 fatwe , responsi giuridici islamici, emessi dal «Consiglio degli ulema d’Indonesia» il 29 luglio scorso, in cui si condannano di apostasia i predicatori religiosi «influenzati dal pluralismo, liberalismo e secolarismo», i musulmani che «non considerano le altre religioni come deviate», i musulmani «che sposano gente di altre fedi», le donne che officiano come «imam alla preghiera collettiva», i musulmani che partecipano «a preghiere in comune con fedeli di altre religioni». Una valanga di condanne di apostasia che hanno scatenato sia la caccia ai musulmani riformatori e laici sia una recrudescenza nella repressione della comunità cristiana. Nel mirino sono finiti gli aderenti alla «Rete islamica liberale» (Jil) che hanno ricevuto per email e fax numerose minacce di morte: «Le fatwe hanno avuto un effetto a valanga – ha detto Nong Darol Mahmada, cofondatore della Rete – la gente pensa che siamo fuorilegge e che ora sia legittimo, sulla base della sharia, la giurisdizione islamica, ucciderci». […] Ebbene è un dato di fatto che l’ideologia dello scontro e della violenza religiosa hanno puntualmente fatto seguito all’entrata nella scena politica di forze integraliste islamiche che affermano di incarnare il «vero islam». Una realtà che ci riguarda assai da vicino. Il sottoscritto è in cima a un elenco di musulmani condannati di apostasia in Italia perché «non è un musulmano», «è un nemico dell’islam». Una condanna che si è abbattuta anche su Omar Camiletti, funzionario della grande moschea di Roma, i cui scritti sono stati esposti nell’ingresso della moschea El Houda di Centocelle, in modo tale che «chiunque entrava, leggendoli, poteva maledirmi». Altro condannato eccellente è Khalid Chaouki, direttore del sito www.musulmaniditalia.com , il cui nome è stato additato al pubblico ludibrio nei sermoni letti nelle moschee di Reggio Emilia e di Trento. Ebbene gli esponenti di questo «partito italiano del takfir », dell’apostasia, sono dell’Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia). Chiedo a tutte le forze politiche italiane di non sottovalutare queste condanne, a non confonderle con una banale diffamazione. Chiedo che si segua l’esempio degli iracheni che, dopo aver sperimentato sulla propria pelle le stragi legittimate dalla condanna di apostasia degli sciiti e dei «traditori» dell’islam, hanno introdotto nella nuova bozza di Costituzione un bando esplicito dell’apostasia. Chiedo che si adotti al più presto una norma penale che vieti e sanzioni anche in Italia l’apostasia considerandola l’anticamera ideologica dell’orrore del terrorismo.
L’editoriale di Magdi Allam è stato pubblicato sul sito del Corriere della Sera