ROMA – Persino i buddhisti se la sono presa. Loro, che della serenità d’animo hanno fatto una religione. Loro, che di proprietà ne hanno una sola: villetta a due piani, 90 metri quadri, zona Axa, tra Roma e Fiumicino. Dice Leopoldo Sentinelli, vice presidente dell’Unione buddhista italiana: «Capirei una tassa più bassa, ma l’esenzione completa no, non mi sembra equa. Sono immobili che generano un utile: redistribuire una parte dei soldi è giusto, lo Stato italiano vive di questo». Non sono soli, i buddhisti. Tutte le altre religioni criticano la scelta di garantire l’esenzione dell’Ici per gli immobili della Chiesa cattolica. Tutti: non solo basiliche e mense per i poveri, ma anche alberghi e cliniche. I più agguerriti sono i valdesi, che pensano allo sciopero dell’Ici, unica strada per arrivare davanti alla Corte costituzionale. Spiega Gianni Long, presidente della Federazione delle chiese evangeliche e professore di Diritto parlamentare alla Luiss di Roma: «Gli estremi dell’incostituzionalità ci sono, perché si viola il principio dell’eguaglianza delle religioni davanti alla legge. Una decisione la prenderemo nei prossimi giorni, ma è chiaro che l’ipotesi di non pagare l’Ici è sul tappeto».
«C’è senza dubbio una disparità di trattamento molto marcata» dice Mario Scialoja, l’ex ambasciatore convertito all’Islam e diventato presidente della sezione italiana della Lega musulmana mondiale. «Noi – aggiunge – paghiamo tutto, e non solo perché molte moschee sono in normali appartamenti. Persino la grande moschea di Roma paga l’Ici perché è dentro una struttura più grande, il centro islamico culturale. I sospetti di incostituzionalità mi sembrano fondati». Di «grave disparità di trattamento» parla anche Leone Paserman, presidente della comunità ebraica di Roma: «Tanto più che una decisione come questa – dice – viene presa in un momento di ristrettezze economiche. Se esenzione c’è, dovrebbe essere garantita per tutte le confessioni riconosciute dallo Stato. Perché loro sì e noi no». Amos Luzzatto, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche, riconosce il problema. Ma lo guarda dall’alto: «Che in Italia ci sia una posizione di privilegio per la Chiesa cattolica è un dato di fatto. Ma discutere solo dell’aspetto fiscale del problema mi sembra riduttivo: basta pensare all’educazione o alla presenza di simboli come il crocifisso nelle sedi pubbliche. Nessuno vuole mettere in dubbio il fatto che la maggioranza degli italiani sia cattolica. Si tratta di decidere quali conseguenze deve avere questo
fatto, dal punto di vista pubblico e giuridico».
Lorenzo Salvia per il Corriere
Anche l’UAAR denuncia l’ennesimo trattamento privilegiato verso la Chiesa cattolica e si unisce alla pioggia di proteste di questi giorni.