[…] Non sono soggetti all’imposta gli immobili degli enti pubblici (ad esempio le scuole pubbliche), i musei, le biblioteche, gli archivi, gli edifici di culto della Chiesa cattolica e di tutte le confessioni religiose che hanno stipulato un’intesa con lo Stato. Non devono pagare l’Ici anche gli immobili utilizzati da enti non commerciali e destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricreative, culturali, sportive e ricettive. Anche per quest’ultima categoria si prescinde dall’appartenenza confessionale. I due unici requisiti richiesti sono la natura di ente non commerciale e lo sv olgimento di una delle attività indicate. Ciò significa che la scuola o l’ospedale, da qualunque ente non profit venga promosso, non paga l’Ici.
Verrebbe allora da chiedere agli esponenti valdesi, evangelici, ebraici e buddisti che hanno parlato di «profili di incostituzionalità» e di «grave disparità di trattamento» rispetto alla Chiesa cattolica, dove vedono questi elementi. Forse sarebbe meglio informarsi prima di parlare. Magari andando a rileggere quanto stabilito da una legge del 1992 pacificamente applicata fino ad una sentenza emanata dalla Cassazione lo scorso anno. […]
Fonte: Avvenire online
Un parroco ci scrive:
«Anche per quanto riguarda la “scandalosa” esenzione dall’ICI della Chiesa Cattolica naturalmente avete attinto dalle solite fonti ma c’è un problema non piccolo. Se la notizia è vera come il vostro sito e certa stampa l’hanno divulgata io stesso me ne vergogno, è ingiusta e disonesta, e il card. Ruini che interviene su tutto (a volte in maniera eccessiva) avrebbe dovuto con chiarezza rifiutare un tanto vergognoso privilegio.
Ma se invece è vero quanto ha scritto Avvenire in questi giorni, allora ci troviamo di fronte ad una informazione disonesta e falsa: qualcuno mente! Chi! Se è il quotidiano dei vescovi vi offro l’occasione per stanarlo!»
L’8 marzo 2004 era stata depositata dalla Corte di cassazione una sentenza che condannava un Istituto Religioso, gestito dalle Suore del Sacro Cuore dell’Aquila e dedito all’attività di assistenza di anziani, a pagare l’ICI fino ad allora non pagata.
[…] gli istituti , tramite la Curia, chiesero aiuto al presidente del Consiglio.
Pur di agevolare e tenersi buono il Vaticano, Berlusconi fece immediatamente
inserire surrettiziamente, con un vero e proprio blitz maturato in Sardegna, durante le ferie estive, il comma 2 nel disegno di legge n. 5736 in discussione.
Esattamente quattro righe che esoneravano dal pagamento dell’imposta anche gli enti religiosi che esercitavano attività commerciale. La relazione di accompagnamento alla modifica non recava alcuna precisazione o motivazione.
L’opposizione fece finta di niente, o finse di non averlo letto.
Facile dire che il comma appare illegittimo, perché fatto ad persona, stravolgendo la Cassazione, e violando il Concordato, che fissava alcuni determinati esoneri fiscali e non altri non previsti.
Si precisa che l’onere per i Comuni, per le mancate entrate, ammonterebbe, secondo la stima Ares, a 2 miliardi e 400 milioni di euro, che con gli arretrati di dieci anni ( la sentenza della Cassazione era applicabile anche per il passato perché interpretativa) comporterebbe per il 2006 un onere di almeno 6 miliardi di euro.
Né va trascurato che sulle omissioni dei vari sindaci potrebbe intervenire la Corte dei Conti.
Fonte: Il barbiere della sera
L’articolo pubblicato in data 8 ottobre 2005 sul quotidiano cattolico Avvenire ricostruisce correttamente le fasi precedenti all’approvazione della nuova norma sull’ICI ma non è assolutamente condivisibile nell’interpretazione della riforma.
Il quotidiano cattolico ha pienamente ragione quando ricorda che l’esenzione dall’ICI riguardava tutti gli immobili degli enti non commerciali -indipendentemente all’essere o meno enti religiosi- e che la Corte di Cassazione ha dato una lettura restrittiva, ma assolutamente corretta, della vecchia norma.
Secondo la Corte, infatti, l’esenzione concerne solo gli immobili preposti allo svolgimento delle attività indicate dalle legge se svolte in forma non commerciale.
Con la nuova norma -che la CEI vorrebbe far passare per norma di interpretazione della vecchia in modo da non necessitare di copertura finanziaria e di estendere i suoi effetti anche al passato- appena approvata l’esenzione viene estesa anche ai casi in cui gli immobili, sempre e solo per le attività indicate dalla legge, siano utilizzati per fini commerciali.
Siccome la nuova norma fa esplicito riferimento alla legge n. 222/1985, legge di derivazione concordataria, questa nuova area di esenzione riguarda solo gli enti della Chiesa Cattolica, mentre per tutti gli altri enti non commerciali continua a valere la più ridotta esenzione precedente.
Si tratta, in sostanza, di una nuova esenzione, valevole solo per la Chiesa cattolica e come tale, a mio avviso, chiaramente incostituzionale, in quanto la disparità di trattamento che ne consegue non trova nessuna giustificazione ragionevole.