Sull’esenzione dall’Ici per la Chiesa cattolica

Quasi sicuramente non se ne farà nulla, e il decreto che prevede l’esenzione totale dall’Ici degli immobili commerciali della Chiesa cattolica non diventerà legge per le tante polemiche che ha scatenato in alcuni ambienti, anche se i politici di entrambi gli schieramenti hanno fatto di tutto per facilitarne l’approvazione. In ogni caso, degno di attenzione è l’iter che tale decreto ha fatto e la corsia preferenziale a esso riservata, perché denota una fretta singolare che sembra rispondere solo a una logica di favori elettorali.
Per capirci qualcosa è bene fare un po’ di storia. Tredici anni fa era stato emanato il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, che esentava dall’Ici gli immobili senza fini di lucro che svolgessero attività cui veniva riconosciuto un valore sociale. Rientravano in questa categoria strutture che venivano incontro a bisogni spirituali (come scuole, alberghi vicini a luoghi considerati sacri, case di riposo, ecc.). Ne usufruiva largamente la Chiesa cattolica ma anche, per analogia, altre confessioni religiose. Alcuni comuni, però, hanno fatto ricorso fino ad ottenere una serie di sentenze da parte della Cassazione che aveva decretato l’esenzione per gli edifici destinati al culto, ma non per gli altri. A questo punto, era necessaria una legge che decretasse esenti anche questi immobili commerciali. Come farla? Ed ecco che i nostri politici hanno cercato una soluzione inserendola in un decreto legge sulle infrastrutture, nella speranza forse che la cosa passasse inosservata. La sua formulazione è abbastanza sibillina ed è l’oggetto dell’art. 6 del decreto-legge 17 agosto 2005, n. 163, approvato in Senato il 5 ottobre. Dal momento che nell’articolo si faceva riferimento solo alle proprietà della Chiesa cattolica, il sen. Malan, valdese, ha proposto un emendamento chiedendo che venissero menzionate anche le Chiese con intesa, ma è stato bocciato con 105 voti contrari e 60 a favore. A questo punto è cominciata la bagarre. I laici si sono ribellati: “Perché un ospedale pubblico deve pagare l’Ici e uno di proprietà ecclesiastica no?”. E la stessa obiezione vale per scuole, negozi che vendono souvenir religiosi, cinema, alberghi, ecc.
L’Anci (associazione che coordina gli 8 mila comuni d’Italia), ha fatto una stima approssimativa sulle perdite che subirebbero gli enti locali: circa 300 milioni di euro l’anno, quando invece si trovano in grave crisi finanziaria. Il ministro delle Comunicazioni, Mario Landolfi, in questi giorni ha dichiarato: “In un momento difficile per l’economia nazionale, è giusto che ognuno faccia sacrificio”, ma da questi sacrifici è esente solo la Chiesa cattolica che già riceve ogni anno un fiume di milioni di euro con l’otto per mille e altre entrate?
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Dora Bognandi per il sito degli Avventisti del settimo giorno

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