Nella festa d’Ognisanti, tutti santi, santi tutti e santo subito Karol Wojtyla. Per celebrare la ricorrenza Porta a Porta ha riunito il gruppo degli affezionati sul tema preciso e conciso: santi e miracoli. Come per i fedelissimi di Cogne, anche i miracoli e i santi della chiesa cattolica hanno un parterre più o meno fisso, deputato a pestare la medesima acqua (ancorché santa). C’è lo scrittore, la nobildonna, il prelatio, il giornalista, il parente di un beato, il regista e il filosofo ateo, necessario alibi del pluralismo. Poi una new-entry nella persona di Claudia Koll, diventata testimonial di una fede che esprime con voce ispirata («ringrazio il signore per avermi guarita e rinnovata»). Vespa l’ascolta («questo linguaggio impressiona anche me che sono credete da sempre») e vuol sapere dal filosofo (Giulio Giorello) che ne pensa della trasformazione di una donna molto laica come la Koll. Naturalmente tutto il bene possibile perché «le persone cambiano in tanti modi, c’è chi diventa cattolico, chi mussulmano, chi cerca e trova risposte nella scienza e nella ricerca scientifica». Il conduttore replica mandando in onda un album di beati e fatti prodigiosi. Un signore che ha una lunga cicatrice su un braccio laddove prima c’era una ferita che sanguinava; una anziana donna calabrese con le stimmate; una panoramica dei santuari più frequentati (tra gli altri: padre Pio, madonna del divino amore, S.Antonio da Padova). Poi dedica uno spazio ai cattivi della storia, «i partigiani comunisti», responsabili dell’uccisione di un prete e di un seminarista, nel’45. Dopo la carrellata, monoteista e monotematica, e la certezza secondo cui i veri rivoluzionari sono i santi, Vespa torna da Giorello, che ribalta il punto di vista: «secondo me certi rivoluzionari sono santi, non perché fanno miracoli, ma perché mettono il dito sulle piaghe del mondo». La nobildonna (Alessandra Borghese) ne dubita e chiede un nome, che arriva subito: «Boby Sand», seguito da un altro «Che Guevara». Nonostante sembri di assistere a un «uno contro tutti», Giorello replica con argomentazioni difficili da contestare. In finale ci prova monsignor Flavio Capucci, postulatore della santificazione di Escrivà da Balanguer, sostenendo che «la vita di chi ha fede è più positiva, più volta all’ottimismo, di quella di chi non ce l’ha». Insomma chi crede vive e muore meglio. Allora Giorello fa osservare come viva una vita piena di ottimismo lo scienziato che ha scoperto la doppia elica del Dna e come sia morto sereno il filosofo Spinoza, credente in un dio coincidente con la natura. Ma Capucci non demorde («l’ottimismo in dio è più garantito») e la nobildonna nemmeno, («siamo tutti figli di dio»). Più che illuminati credenti sembrano bambini che, interrogati dalla mamma («perché hai mangiato la marmellata?»), rispondono sempre allo stesso modo: perché sì.
L’articolo di Norma Rangeri è stato pubblicato sul sito del Manifesto