Nelle settimane scorse, l’uscita dell’edizione 2006 del vocabolario Zingarelli ha provocato l’annuale tormentone sui nuovi lemmi della lingua italiana. Ma non mi risulta che, fra questi, siano compresi né laico né laicismo , parole che sono entrate da tempo nel lessico del dibattito politico e che figurano sui vocabolari da svariati decenni. Nell’edizione dello Zingarelli che io possiedo, datata 1990, il significato del termine laico è definito come segue: «Che si ispira al laicismo».
Eppure, nel gergo politico italiano ha ormai preso piede una distinzione fra la laicità, che sarebbe da garantire, e il laicismo , che sarebbe da rigettare. Come in una dichiarazione recente del presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, a proposito della proposta del segretario dello Sdi, Enrico Boselli, di includere nel programma dell’Unione una revisione del Concordato: «Un rigurgito laicista che nulla ha a che fare con la laicità dello Stato» (Corriere della Sera , 30 ottobre). Allora, delle due l’una. O la distinzione fra laicità e laicismo è una bufala linguistica, che nasconde una precisa operazione logica (la rappresentazione di un principio costituzionale come un -ismo fazionario) e ideologica (la tutela a ogni costo dei privilegi concordatari della Chiesa cattolica). Oppure i redattori dello Zingarelli hanno dormito troppo sugli allori e per l’edizione 2007 faranno bene a cooptare nuovi esperti, compreso il fine linguista che siede sullo scranno più alto di Montecitorio.
L’intervento di Sergio Luzzatto è stato pubblicato sul sito del Corriere della Sera