[…] Due uomini bussarono forte alla sua porta, lei aprì e fu la fine: l’ammazzarono a forza di botte, così tante da sfigurarla. Margherita aveva 64 anni, era analfabeta, poverissima, vedova e madre di una ragazza. Il suo fu l’ultimo omicidio di una strega che l’Italia ricordi. Era il 22 gennaio del 1828, sullo sfondo il profilo del Monte Rosa e della Valsesia. Adesso, dopo 177 primavere, Varallo Sesia ha deciso di riabilitare la sua strìa e di coltivarne il ricordo con una lapide all’ingresso del paese. La strega «Gatina», come la chiamavano i valligiani, vive la sua rivincita nelle parole scolpite sulla pietra: «In memoria della strìa Gatina, ultima strega massacrata in Italia, trucidata a Cervarolo di Varallo, custode dell’antica sapienza montanara». […] «Abbiamo vissuto 500 anni di totale ignoranza e restituire memoria e dignità a persone come la strìa Gatina è una questione di civiltà» valuta il sindaco di Varallo, Gianluca Buonanno. «Ho ricevuto più ringraziamenti da questa iniziativa che da qualsiasi altra abbia mai fatto, e sono sindaco da 12 anni. Vorrà pur dire qualcosa, no?». Ha visto la gente incuriosita e partecipe davanti alla lapide e si è commosso, il sindaco. Accanto a lui lo storico Corrado Mornese, autore di molti libri sulla valle e su uno dei suoi simboli: Fra Dolcino, il grande eretico del Trecento. «Se c’è qualcuno che non è contento di rispolverare questi ricordi mi dispiace» si rammarica Buonanno, lasciando intuire una scia polemica sulla questione della lapide. Qualcuno ha storto il naso? «Beh, nel mondo ecclesiastico non sono certo rimasti contenti…». Il parroco del paese, Gianfermo Nicolini, conferma: «Per fortuna quel giorno non c’ero…». Le credenze popolari, i danni dell’inquisizione, i supplizi subìti dalle presunte streghe: «Guardi che in Italia il fenomeno è stato ridottissimo. Lo dicono storici affermati. Anche questa storia della strìa Gatina: sono iniziative coreografiche e carnevalesche. La cosa che conta sono le fonti di queste notizie, quelle vere». Dice che la storia della strega valsesiana è falsa? «No, il fatto è successo. Si vede che volevano darle una lezione e che hanno sbagliato il dosaggio. Ma da qui a parlare di caccia alle streghe ne corre». Don Gianfermo avrebbe da ridire anche su Fra Dolcino e sulle mille iniziative per i 700 anni della sua resistenza contro i «crociati» in Valsesia. «Dante lo cita in un canto dell’Inferno? Va bene. Ma a parte quelle due cose dette da Dante di lui sappiamo solo che ne ha combinata una più di Bertoldo e che ce l’aveva con la Chiesa». Vista dalla parrocchia di San Gaudenzio, la popolarità di Fra Dolcino assomiglia a un incantesimo.
L’articolo di Giusi Fasano è stato pubblicato sul sito del Corriere della Sera
Il parroco si dimostra fermo, molto fermo. Di nome e di fatto. Fermo al Cinquecento, quantomeno, ai bei tempi in cui gli italiani erano obbligati a essere cattolici: in caso contrario, un bel falò per rischiarare le idee a tutti. Peccato solo per quell’odore di carne bruciata… Nel dubbio, se vedete don Gianfermo con un cerino in mano, statevene distanti…