A chi appartiene la tua vita? La stessa formulazione grammaticale e sintattica tradisce l’assurdità della domanda. Per essere tua, la tua vita non può appartenere che a te. Se appartiene ad altri non è più tua, e tu sei semplicemente lo schiavo di colui, o coloro, cui la ‘tua’ vita appartiene. La risposta alla domanda ‘a chi appartiene la tua vita?’ non può essere, dunque, che ovvia e scontata. Nella lingua italiana, una domanda la cui risposta è scontata si definisce domanda retorica. Eppure, dare nei fatti la risposta ovvia e scontata a questa domanda retorica può costare, in Italia, fino a quindici anni di carcere. Tale è la pena massima prevista per il reato di assistenza al suicidio. […] Nel nostro civilissimo mondo la tua vita appartiene allo Stato e alla Chiesa. Cioè ad altri uomini come te, mortali e fallibili come te, e che mai accetterebbero che sulla loro vita decidessi tu, ma che sulla tua vita si arrogano la sovranità ultima e suprema. Per il ‘tuo’ bene, ça va sans dire, cioè per il loro bisogno (il loro ‘bene’!) di imporre la loro ideologia anche a te che la rifiuti, e riguardo a ciò che ti è esistenzialmente (cioè essenzialmente) più proprio. Questa pretesa, un tempo, si chiamava totalitarismo. Non ha nessun senso, infatti, replicare che la vita non appartiene a chi la vive ma è un dono di Dio. A parte la circostanza che un dono che non si può rifiutare non è più un dono ma una condanna (una ‘condanna a vita’ è non a caso l’espressione che si usa per l’ergastolo, non per la democratica ‘ricerca della felicità’ che la Costituzione americana mette tra i diritti umani imprescrittibili). […] Ogni cittadino che scelga il primato dell’uomo in carne ed ossa contro le sopraffazioni totalitarie dell’ideologia (teocratica o meno) deve dunque ringraziare il professor Veronesi, che con il suo libro sull’eutanasia, cioè contro la tortura di Stato e di Chiesa, costringe l’omertà del pensiero unico a venire allo scoperto. Il suo è un libro dalla parte della vita, poiché è purtroppo parte della vita la possibilità di una condanna a morte non preceduta da reato alcuno, e accompagnata da tortura insopportabile. E sarà difficile accusare il clinico italiano forse più famoso nel mondo (e famoso per aver salvato infinite vite) di voler replicare gli orrori nazisti (si è sentita anche questa, e senza vergogna), di voler diffondere una cultura omicida, o anche solo di voler banalizzare la morte.
L’articolo di Paolo Flores d’Arcais, che apre il numero in uscita di MicroMega, è stato pubblicato sul sito dell’Unità