Un fidanzamento a distanza con un ragazzo mai visto. Bengalese come lei. Un matrimonio programmato dai suoi genitori, nonostante la giovane età. Ma a 12 anni, e una vita davanti, l’amore è un’altra cosa. Emozioni, il cuore che batte, gli occhi che brillano. Un sogno che si può realizzare, magari con un compagno di classe o un ragazzino incontrato a una festa. Così sabato mattina Flora (nome di fantasia), figlia unica di immigrati musulmani, da otto anni a Vicenza, capelli di seta e visino ambrato, va a scuola con un incubo più grande di lei. Dopo la ricreazione esce dall’aula e si chiude in bagno. Porta con sé un astuccio. Da quell’astuccio tira fuori le forbicine. E con le forbicine tutto il dramma della sua vita. Una famiglia musulmana, il divieto di partecipare alle feste, l’impossibilità di frequentare le amiche, la stretta cerchia della comunità bengalese, i lavori in casa, i compiti a tarda sera. E la solitudine, quell’angoscia che tutti i giorni, al ritorno da scuola, le stringe la gola. Ora le fa premere le lame contro i teneri polsi. Non prova dolore. Pochi tagli sottili, il sangue scorre. Flora scivola a terra. I capelli sotto la porta del bagno. Passano pochi istanti e un’amica è già lì, a dispetto della solitudine. L’ha cercata, su indicazione di un’insegnante preoccupata di non vederla tornare. Scatta l’allarme. La scuola è in subbuglio. Polizia, ambulanze. Flora è al centro dell’attenzione. Non per i suoi bellissimi temi, le interrogazioni brillanti, le risposte adeguate. […]
L’articolo di Grazia Maria Mottola è stato pubblicato sul sito del Corriere della Sera