A forza di negarlo, questa volta Berlusconi mette le mani, e come non dovrebbe, nelle tasche degli italiani. La porno-tax, congegnata dall’immaginario puritano, già imposta da Augusto Pinochet e oggi ristudiata da Daniela Santanchè (An) e dai centri studi teocon, a fini edificanti (finanziare gli asili nido ecclesiastici?), è stata inserita, anche se ritoccata, nel maxiemendamento del governo alla Finanziaria. La tassa sul materiale pornografico o che incita alla violenza (come l’opera completa di Karl Marx?), però, non colpirà l’Iva ma i redditi dei produttori e distributori di «peccato», e dunque implacabilmente tutti i peccatori in una gigantesca inflazione della perversione. Colpire l’Iva, infatti, avrebbe comportato problemi sul versante comunitario. Ma cosa intende il governo per materiale pornografico o che incita alla violenza? Tutto il buon cinema, da Ford a Oshima? La Cassazione che incita al linciaggio dei «negri» in quanto sporchi? L’intera televisione italiana che il leghista Ettore Pirovano, nostalgico del celodurismo, descrive – come farebbe Carlo Rossella – una bigia selva di «tette, culi e battute volgari», mirando alla missione impossibile, tassare i film stranieri, addirittura Hollywood (infatti di film cinesi ne circolano pochini)? Oppure la pubblicità tv che non spezza più neppure un’emozione (e che un serio programma di centro-sinistra dovrebbe davvero tassare, per rianimare un panorama audiovisivo desolante)? O i reportage standard di tutti i telegiornali?[…]No. Troppo genericamente: «le riviste, i film, gli oggetti pornografici che affollano gli scaffali dei sexy shop, come bambole gonfiabili, vibratori e forse anche la biancheria sado-maso». Il maxiemendamento del governo estende però, molto pericolosamente per lui e per qualche imprenditore del nordest, l’imposizione anche su «ogni altro bene avente carattere pornografico». Ricordate l’odissea tragica di Ultimo tango a Parigi? Il clima maccartista e bigotto dei «comitati civici» anni 50, definitivamente inchiodato da Alberto Sordi nel Moralista? Infine quel profumo di autarchia: tassare i film extracomunitari (tranne gli Usa, se no ci annichiliscono). Via libera alla pornotax, dunque, ma «in stile francese», ci assicurano. Peccato che prendere partito sulla pornografia non è, come dovrebbe essere, la stessa cosa che prendere partito sulla Pop Art o sulla musica aleatoria, come scriveva Susan Sontag, mettendoci in guardia dalla concezione – tipica del puritanesimo angloamericano – del porno come malattia da diagnosticare. O come pretesto per emettere un giudizio, «come essere pro o contro l’aborto legalizzato o i sussidi statali alla scuola confessionale». Insomma c’è del Ratzinger dietro tutto questo marchingegno illiberale (l’ordine è: meno pippe e più figli), ma perfettamente neoliberale e teo-con. E allora pornotax del 25% sui redditi derivanti dai ricavi della produzione, distribuzione, vendita e rappresentazione dei materiali a luci e tensioni rosse. La nuova imposta si somma alle tasse già esistenti sul reddito (Ire e Ires). Per il 2005 è previsto un acconto pari al 120% dell’addizionale che si sarebbe determinata se la pornotax fosse applicata nell’anno precedente. Mentre è pari al 10% l’Iva sugli abbonamenti tv relativi a trasmissioni porno… Invece il vero problema è la qualità, non l’esistenza da angariare, della pornografia. Anche qui assenza di ricerca, in un paese dove tutte le forme serie di arte e di conoscenza, in altre parole di verità, cominciano a essere sospette e molto, molto pericolose.
L’articolo di Roberto Silvestri è apparso sul sito de Il Manifesto