“Noi sottoscritti, elettori italiani e membri di chiese evangeliche, ci dichiariamo fermamente contrari alla proposta di esenzione dall’ICI per gli immobili di proprietà ecclesiastica destinati ad usi non di culto, anche nella formulazione che estende tale privilegio alle confessioni diverse dalla cattolica”. Esordisce così la lettera aperta firmata da una trentina di evangelici italiani, visibilmente stanchi dei continui “privilegi” che lo Stato conferisce alla chiesa cattolica. L’iniziativa è partita sabato scorso tra i banchi della chiesa valdese di piazza Cavour a Roma, e si sta espandendo a macchio d’olio. La contrarietà dei firmatari – tra cui Laura Ronchi, Cesare De Michelis, Daniele Garrone, Paolo Naso – è dettata da considerazioni di tipo economico e politico. “Il mancato gettito dell’ICI ricadrebbe sull’intera collettività, compresi i soggetti che non hanno interessi religiosi, o appartengono a religioni o confessioni che non hanno stipulato – spesso non per loro difetto – Intese con lo Stato. L’esenzione di tali immobili si risolverebbe in un ulteriore privilegio, in aggiunta a quello derivante dall’8 per mille, a quello relativo all’incostituzionale finanziamento pubblico – diretto e indiretto – di scuole e università private, a quello previsto per le attività parrocchiali e nelle strutture sanitarie, per non dire dell’immissione in ruolo senza concorso degli insegnanti di religione cattolica”. Per i firmatari i numerosi privilegi economici per la chiesa cattolica non solo sono “ingiustificati”, ma dettati dalla caccia a un elettorato sedicente “cattolico”. La lettera, che sarà pubblicata sul settimanale Riforma, si conclude con alcune considerazioni di tipo “confessante”. I firmatari fanno notare come la secolarizzazione colpisce anche in Italia le chiese cristiane “storiche”, producendo una forma di utilizzazione identitaria del cristianesimo come sistema di “valori culturali”. Ecco che “il ‘soccorso bianco’ che il sistema politico offre alle diverse realtà ecclesiali s’inscrive in questa logica, non sempre innocente sul piano della confessione di fede. Riportare la ‘difesa della religione’ (meglio se cristiana, e ancor meglio se cattolica) a benefici economici, da un lato de-responsabilizza ancor più i credenti nel personale impegno economico, e dall’altro implica l’accettazione d’una sorta di ‘convivenza pacifica’ tra Dio e Mammona”.
Fonte: ICN-News