«Il Tosti all’inizio della propria attività e poi a lungo per anni, ha concretamente accettato le condizioni in cui si svolgevano le proprie funzioni sino al 2003 epoca in cui la “coscienza” ha indotto il giudicabile ad assumere l’attuale posizione (si dice, nella meteora difensiva depositata, perché all’uopo sollecitato da due legali presenti nei locali del Tribunale di Camerino e, quindi, se ne deduce una posizione maturata non per proprie, piene e consolidate, convinzioni e determinazioni)…L’evidenza dello squilibrio generato dalla sollecitazione di una prevalenza della tutela delle libertà e dei principi su richiamati sull’adempimento del dovere commesso alle proprie fondamentali funzioni pubbliche, cui era ed è tuttora sottoposto il T. per propria scelta, rende ancor meno condivisibili le ragioni che il giudicabile rappresenta oggi a propria “discolpa”: l’invocazione della rappresentata tutela, maturata su sollecitazione altrui anche se, si sostiene, condivisa, appare nella fattispecie, pretestuosa e non comprensibile sol che si consideri che condotta del tutto analoga a quella assunta dal T. potrebbe venire adottata da ciascuno dei novemila, circa, magistrati italiani che dovesse determinarsi, di punto in bianco a per il solo fatto della presenza dei Crocefissi in talune delle, pur numerose, sale giudiziarie del paese, a rifiutare le proprie funzioni in nome della necessaria salvaguardia degli stessi libertà e principio prima citati; situazione di possibile totale carenza di “giustizia” questa non diversamente risolvibile se non attraverso la generalizzata rimozione del simbolo cristiano realizzata con l’abrogazione dei quell’antico decreto ministeriale che ebbe ad istituirne l’apposizione, in uno con l’effige del Re, nelle aule di udienza».
Sono alcuni passaggi della sentenza con cui il Tribunale dell’Aquila ha condannato a sette mesi di reclusione il giudice Tosti, “reo” di non tenere udienza in aule provviste di simbolo religioso cattolico. In attesa di un commento ufficiale da parte del giudice, ci limitiamo a rilevare come la corte abbia condotto un’indagine psicologica sulle motivazioni del giudice che appare abbastanza fuori luogo: un comportamento va giudicato a prescindere dalla durata dei convincimenti che sono alla base di quel comportamento. Anche il rischio di un blocco dei tribunali appare una motivazione poco credibile: anche in questo caso, non si può condannare qualcuno perché, qualora venisse assolto, potrebbero crearsi dei problemi. Spetta agli amministratori pubblici intervenire per evitare (molto remote) conflittualità, non certo ai giudici.
Il testo della sentenza è stato pubblicato sul sito OLIR