La finanza bianca dopo Fazio

[…] A spingere davvero Fazio verso le dimissioni è stato lo stesso mondo che lo aveva difeso, cioè il mondo della Chiesa. […] Ma che cosa ha fatto cambiare atteggiamento alla Curia romana? Certo la durezza dei fatti ha contribuito. Ma forse sono state ancora più importanti preoccupazioni e desideri per il futuro. Prima di tutto, il timore di non rompere i ponti con i successori di Fazio. Ma soprattutto l’obiettivo di mantenere in vita, sia pure attraverso altre persone e altre vie, il progetto di rilancio e di sviluppo della finanza bianca, da contrapporre proprio alla temuta «finanza laica e massonica», come continuano a chiamarla, a microfoni spenti, nei corridoi della Conferenza episcopale italiana e della stessa Curia. Questo sogno non è stato mai apertamente ammesso in Vaticano, ma il presidente della Cei, il cardinale Camillo Ruini, di fatto l’ha inseguito con pervicacia. L’obiettivo? Mai dichiarato, però il senso è intuibile: compensare lo smantellamento della rete dei presidenti democristiani che nel secondo dopoguerra avevano guidato molte banche italiane, allora per larghissima parte pubbliche. […] «Antonio Fazio da Alvito era un governatore straordinario» ha scritto Alberto Statera sulla Repubblica il giorno dopo le dimissioni. E ha spiegato, quasi con un sospiro di sollievo, come doveva intendersi l’aggettivo straordinario: «Non aveva le stimmate della grande borghesia etica ed elitaria che dalla fondazione, salvo qualche parentesi durante il fascismo, aveva guidato la Banca d’Italia». Fazio ha sempre avuto un rapporto stretto e diretto con la Curia romana. […]
L’articolo di Roberto Seghetti è stato pubblicato sul sito di Panorama

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