Eutanasia, progetto di legge della Rosa nel Pugno

Traccia un modello di eutanasia per certi aspetti perfino più allargato di quello olandese, belga o dell’Oregon il nuovo disegno di legge proposto dalla Rosa del Pugno a tre mesi dalle elezioni politiche. Nel testo depositato ieri a Camera e Senato, primo firmatario il socialista Roberto Biscardini, viene riconosciuto al malato maggiorenne il diritto alla cosiddetta dolce morte sia attiva (con la somministrazione di un farmaco) sia passiva (con la sospensione di cure vitali). Non solo. Il secondo caso può essere applicato anche ai minori, senza limiti di età. Purché non ci sia il dissenso di genitori o familiari. Esemplifica Marco Beltrandi, che ha scritto gli 11 articoli: «Se un bambino è in condizioni terminali, non reversibili o in coma vegetativo persistente la mamma o il papà possono rinunciare al sostegno di trattamenti artificiali, scegliendo di far staccare la spina». Passaggio in realtà poco chiaro perché attenendosi al ddl sotto i 18 anni si è meno tutelati che da adulti. Nettamente contraria Cinzia Caporale, vicepresidente laica del Comitato nazionale di bioetica, che analizza da tecnica: «È un testo molto lacunoso e senza le dovute garanzie. Sono favorevole all’eutanasia ma solo in certe circostanze e per i maggiorenni. Contraria invece a ogni forma di intervento sui minori. Per un liberale un criterio è irrinunciabile, il consenso dell’interessato. È crudelmente arbitrario che i genitori decidano per il figlio, in ogni caso. D’altra parte mi compiaccio che un gruppo politico abbia sollevato con coraggio una questione così delicata». Secca la Federazione degli Ordini dei medici che si richiama al suo Codice escludendo ogni possibilità di intervento: «La nostra è una professione di vita, tesa a curare, guarire e alleviare il dolore, tanto più quando si tratta di bambini». Umberto Veronesi è fermo nella sua convinzione, ma si riferisce a chi per età può esprimere un consenso: «Io non lo farei perché è vietato per legge, ma se fosse consentito non avrei difficoltà ad aiutare una persona in condizioni disperate». Una proposta destinata a creare polemiche. Si prevede tra l’altro la non punibilità del medico che collabora. Dovrà esserci però un testamento biologico o una prova scritta che esprimano la volontà del paziente in fase terminale di essere aiutato a morire. Di più. Le «terapie di sostentamento vitale» possono essere interrotte dal medico se i familiari non si oppongono e se il malato abbia escluso il ricorso al distacco della spina. […]
L’articolo di Margherita De Bac è stato pubblicato sul sito del Corriere della Sera

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