Tosti: «Senza paga e toga ma non cedo»

Mai cognome fu così azzeccato: Tosti. Perfetto cioè per Luigi Tosti, giudice cinquantasettenne disposto a tutto pur di continuare quella che lui ritiene una battaglia irrinunciabile: far bandire il crocifisso dalle aule dei tribunali della Repubblica italiana. Un uomo tosto , insomma. «Per farmi desistere, dovranno eliminarmi fisicamente», dice. La sua storia – tra ricorsi, carte bollate, sentenze – è giunta ieri a una svolta cruciale. La sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, accogliendo la richiesta del procuratore generale della Cassazione Francesco Favara, lo ha sospeso dalle funzioni e dallo stipendio. Il provvedimento segue la condanna a sette mesi di reclusione e all’interdizione dai pubblici uffici per un anno, inflittagli dal Tribunale dell’Aquila lo scorso novembre. […] Andiamo con ordine. La storia di Luigi Tosti, giudice del Tribunale di Camerino, amena città della provincia di Macerata, laico fino al midollo spinale, sostanzialmente agnostico ma con radici religiose che affondano nell’ebraismo, comincia ufficialmente lo scorso 9 maggio quando il magistrato decide di incrociare le braccia, disertando le udienze nelle aule dove è esposto il crocifisso. «La mia, sia chiaro, non era e non è una mania – spiega -. L’esposizione della croce viola gli articoli 9 e 14 della Convenzione dei Diritti dell’uomo, che sancisce la libertà religiosa e obbliga gli Stati a non operare discriminazioni razziali e religiose». «Ci sarebbe una soluzione – afferma -: esporre i simboli delle varie religioni. Ma lei s’immagina una stanza trasformata in bazar? No, meglio nulla. Quanto a me, l’unico compromesso che avrei accettato era quello di mettere la menorah (il candelabro ebraico, ndr) accanto alla croce». Ma dal Ministero della Giustizia arriva un no secco. L’alternativa offerta a Tosti è di allestire un’aula, a suo uso esclusivo, priva di crocifisso. «Non sia mai», protesta lui denunciando l’intollerabile ghettizzazione. A giugno, infine, Tosti e la moglie si rifiutano di votare al referendum sulla fecondazione perché al seggio scoprono che c’è la croce. La battaglia è aperta. Il giudice continua a non celebrare i processi, fino all’accusa di omissione di atti d’ufficio, e alla sentenza del Tribunale dell’Aquila. […]. «Se ritengono che getti discredito sulla Magistratura, poiché rivendico gli stessi diritti dei cattolici, m’inchino. Non farò ricorso all’organo di autogoverno. Ma non è detta l’ultima parola. I miei appelli hanno preso la strada della magistratura ordinaria. Non credo, però, che la giustizia italiana mi darà ragione. Farò causa all’Italia dinanzi alla Corte europea». […]
L’intervista di Marisa Fumagalli è stata pubblicata sul sito del Corriere della Sera

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