Il numero 2/2006 della rivista “Micromega”, in edicola in questi giorni, contiene un interessante testo di Gustavo Zagrebelsky dal titolo “La Chiesa cattolica è compatibile con la democrazia?”.
Secondo l’autore, tale domanda “non è affatto una provocazione; è un problema reale […] La Chiesa cattolica non ha mai aderito senza riserve alla democrazia né mai l’ha accettata come unico regime legittimo. Per molti secoli, si è limitata a richiedere al potere politico, quale che ne fosse la natura, il rispetto di quelli che riteneva essere i propri diritti”. Benché con il Concilio Vaticano II si sia fatto un passo avanti, resterebbe la riserva sul relativismo, “una parola che ha assunto, nel linguaggio dei due ultimi papi, il valore di un anatema [… la Chiesa] si erge a maestra di tutta quanta la società, anche dei non credenti, e pretende di attribuire un plusvalore morale alle posizioni dei cattolici osservanti, rispetto a tutte le altre”.
‘Relativismo’, secondo Zagrebelsky, “non significa affatto condanna delle convinzioni morali; non significa che una cosa vale l’altra e dunque nulla ha valore. Significa che le convinzioni, i valori, le fedi sono, per l’appunto, relativi a chi li professa e che nessuno può imporli agli altri […] La fede è compatibile con la democrazia a una condizione: che non sia etero-diretta da un potere dogmatico”. Cosa che farebbe la Chiesa, il cui comportamento sembrerebbe tentare di “sovrapporre una super-Costituzione alla Costituzione democraticamente stabilita, una «Costituzione della Costituzione» di cui la Chiesa – un bimillenario potere organizzato secondo principî ancor oggi essenzialmente autocratici – sarebbe dispensatrice”. Si domanda retoricamente Zagrebelsky: “Si vuole con questo escludere i cattolici dal dibattito sui temi fondamentali del nostro vivere civile, come talora lamenta un certo vittimismo cattolico? Per nulla. Si vuole invece che entrino nel dibattito deponendo ogni pretesa di infallibilità […] le posizioni della Chiesa, e di chi della Chiesa approfitta per i fini suoi, dovrebbero sempre stare sotto la clausola: «dal proprio punto di vista». Senza questa riserva, le loro posizioni contraddicono la democrazia”.
Dopo essersi soffermato sulla “frattura di incompatibilità” tra gerarchia e fedeli, non senza un excursus sul rapporto tra le attuali tendenze dottrinali e il messaggio evangelico, Zagrebelsky termina il suo intervento individuando “il punto d’incontro tra non cristiani e cristiani di buona volontà: rispetto alla carità verso il prossimo siamo tutti uguali, credenti e non credenti, cristiani e non cristiani. Molti cristiani hanno fatto del loro cristianesimo uno strumento di odio e sopraffazione nei confronti degli altri, per motivi di ideologia o di carriera personale; all’opposto molti non credenti vedono nella loro condizione di chi non crede in una verità e in una giustizia che hanno da venire alla consumazione dei tempi (Ap 15, 3), la ragione di un impegno supplementare per ricercare l’una e l’altra nel tempo che è dato loro da vivere, ora e qui. La celeberrima frase di Dostoevskij: se Dio non esiste, tutto è permesso, può facilmente rovesciarsi nel contrario: proprio se Dio esiste, tutto quaggiù è permesso, perché sarà a Lui di raddrizzare le nostre storture”. A cui segue una puntura di spillo nei confronti dei cosiddetti ‘atei devoti’ (e di Giuliano Amato?): il riconoscimento che i cattolici “disporrebbero di qualcosa in più risulta un’adulazione totalmente ingiustificata che i cristiani stessi dovrebbero respingere con sdegno”.
La versione integrale del testo di Gustavo Zagrebelsky è stata pubblicata sull’ultimo numero di MicroMega