Con una sentenza che avrebbe entusiasmato Gorgia da Lentini, il Consiglio di stato ha alambiccato che il crocifisso è simbolo di laicità, è cifra dello Stato laico, e che, dunque, non come oggetto di culto, ma proprio per educare ai valori della laicità, deve restare appeso alle pareti delle scuole. Ebbene, il Consiglio di Stato perdoni l´impertinenza, ma sentenziare che Cristo è laico equivale a stabilire che l´asino vola. L´uguaglianza tra «A» e «non A» è infatti una violazione del principio identitario che nessun disagio storico può giustificare. È vero che non era facile il compito degli illustri magistrati dell´Organo di appello della giustizia amministrativa. E chiunque, nei loro panni, sarebbe stato costretto a ricorrere a qualche artifizio per difendere l´identità italiana senza offendere la laicità dello Stato. Mai però avremmo immaginato che il Consiglio di Stato avrebbe espresso questo epocale malessere del borgo natio che si sente assediato, confezionando una sentenza che appartiene all´improntitudine della sofistica e non alla nobiltà della giurisprudenza. Nella sussiegosa e declamatoria asserzione che la croce è il simbolo dei «valori che delineano la laicità nell´attuale ordinamento dello Stato» c´è infatti la più sprovvedutamente autorevole celebrazione del paradosso, dell´identità dei contrari. Neppure le parallele convergenti di Moro reggono il confronto. In politica infatti può ancora passare per tollerabile arguzia intellettuale l´idea che il bianco sia nero. Ma il Diritto non ammette il tartufismo, e nessun giudice può trasformare un simbolo religioso nel suo contrario. È come se la Cassazione stabilisse che a datare da oggi 16 febbraio 2006 il guelfo è ghibellino. O, per essere ancora più chiari, che il Milan è l´Inter: solo da Biscardi è ammessa la mescolanza del latte con l´aceto. Non si tratta qui di contestare la decisione di non rimuovere il crocifisso dal muro di una scuola media o di un tribunale, o di un qualsiasi ufficio pubblico. […] Siamo troppo abituati alla stagionalità della giustizia e al suo piegarsi ai venti ideologici per farci illusioni: la battaglia dei crocifissi è appena cominciata. Anche se è sicuro che, almeno nelle motivazioni, mai altri giudici riusciranno a eguagliare la bizzarria retorica di questi cinque magistrati del Consiglio di Stato che per lasciare Cristo sul muro di una scuola media di Abano Terme hanno sottratto Cristo a Cristo riducendolo a guardia di una identità territoriale. Rileggetela questa sentenza del Consiglio di Stato: somiglia a un articolo del Foglio di Giuliano Ferrara, ma senza il ghigno sardonico e sfacciato dell´intelligenza e della provocazione: un articolo di quelli non riusciti. Con i giochi di parola e con i barocchismi concettuali infatti non si emanano sentenze. Si sparano sentenze.
Il testo integrale dell’editoriale di Francesco Merlo è stato pubblicato oggi su Repubblica