Sentenza sul crocifisso: il parere di Avvenire

Fa quasi tenerezza. Come se vedi un bimbo che gli si è rotto un giochino in mano. E non si raccapezza. Non sa più come funziona quel che prima filava così liscio. Sì, fa quasi tenerezza veder lo smarrimento che ha invaso i delicati sensi di taluni commentatori alla sentenza con cui il Consiglio di Stato ha stabilito che ci sono motivi sufficienti poiché il crocefisso resti esposto nelle aule e nei luoghi pubblici. Quella sentenza li ha gettati in confusione. Si erano costruiti un bello schemino: da una parte stavano gli oscuri difensori di macabri simboli religiosi e dall’altro gli uomini liberi, laici, illuminati e pure un poco luminosi. Era chiaro dove stava il bene e il male, il moderno e l’antimoderno, il religioso e il laico. Avevano messo a punto e ben smerciato sui loro media e strumenti di persuasione questo semplice marchingegno ideologico per cui il crocefisso è fardello di un’epoca oscura da cui dobbiamo affrancarci e un bel muro vuoto è segno di libertà e di rispetto. […] E si son confusi loro i pensieri. Gesù non faceva più coppia con religione, divisione e oscurità, ma con laicità e convivenza. E il crocefisso non faceva più coppia con i simboli di una religione come un’altra, ma è richiamo alle cose più importanti che ci tengono insieme. Ma come, il crocefisso non è un simbolo religioso e perciò da tener nascosto? O non lo si dovrebbe esibire in compagnia di tutti i simboli a parimerito? Che so, portando in aula pure dei menhir, dei cilindri girevoli, dei totem, delle mucche sacre o fulmini o quant’altro, in un caravanserraglio religioso “democratico” e folkloristico? […] Ai rintronati da una sentenza piena di semplice buon senso e di quasi ovvio senso della storia, noi umilmente suggeriamo due pensierini per uscire dalla paralisi. Il primo: forse non è un caso che il cristianesimo abbia sempre affermato di non essere una religione. A un autentico laico dovrebbe interessare che il cristianesimo sia un movimento di uomini e una grandiosa avventura di individui, di popoli, di istituzioni, di arte, che si fonda non su un tentativo religioso, ma su un avvenimento storico. Gesù, appunto. Il quale non è né un santone, né un profeta, né un re, ed ebbe anzi i capi religiosi contro. Il secondo: potrebbe essere, questa diatriba, un’occasione per mettere a tema chi è Gesù detto il Cristo, al di là di quel che già tutti presumiamo di sapere di Lui. Non dovrebbe dispiacere ai cosiddetti laici il fatto che si possa discutere di un fatto storico e delle sue caratteristiche. Perché l’ignoranza e la censura, specie l’autocensura, sono anticamera della confusione e della guerra. Ci state?
Il testo integrale dell’editoriale di Davide Rondoni è stato pubblicato sul sito di Avvenire
Su queste basi ovviamente no. Per un ateo (ma anche per qualunque non cristiano) Gesù Cristo “era”, non “è”. Sul ‘fatto storico’ si potrebbe discutere: ma certamente i Vangeli sono tutto fuorché una testimonianza ‘storica’ probatoria. Andrebbe poi ricordato a Rondoni che il termine ‘religione’, nel significato corrente, l’hanno inventato proprio i cristiani: prima, tra i romani, aveva un significato largamente diverso. Infine, saremo pure ‘rintronati e smarriti’, ma ancora abbastanza svegli da distinguere lontano un miglio l’arroganza del potere…

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