I quattro giorni della rivolta di Bengasi ci devono far riflettere sul dialogo tra le culture e sulle relazioni internazionali Nord Sud, quelle italo-libiche in particolare. Le teorie del complotto non convincono. Chi sostiene che questa vicenda è stata organizzata da Gheddafi per ricattare l’Italia, inventa di sana pianta dichiarazioni per sostenere la sua tesi, fomentatrice di odii e scontri. Tirando fino all’estremo quel ragionamento si arriverebbe a concludere che Calderoli sia un agente della Libia. La storia invece è un’altra. Il comunicato della Fondazione Gheddafi che stigmatizza l’operato dell’ex ministro italiano alle riforme, inizia con «l’elogio delle prese di distanza delle autorità italiane responsabili dalle dichiarazioni xenofobe del ministro Calderoli». Lo stesso comportamento della polizia libica è stato quello della difesa del consolato italiano, nel primo giorno di cariche dei manifestanti, con un bagno di sangue che ha lasciato sull’asfalto 11 morti e una cinquantina di feriti. Una repressione durissima, che non c’è stata in altre situazioni come Teheran, Damasco e Beirut. La scelta del governo libico è stata quella di difendere la sede diplomatica italiana, allineandosi con questo gesto, con i governi afgano e pakistano. Una repressione che non ha giovato al governo di Tripoli, nel suo tentativo di farsi riconoscere come un paese guida per l’Africa e di accreditarsi come un paese alleato all’occidente nella lotta contro il terrorismo. Nel dibattito giornalistico italiano sulle relazioni italo-libiche si intravede una certa superficialità. […]
L’articolo completo è presente sul sito del Manifesto