L’apostolato cristiano nelle terre dell’Islam

Il “Corriere della Sera” di oggi ha ospitato una lettera del coordinatore del circolo UAAR di Palermo, Pietro Ancona, nonché la risposta datagli da Sergio Romano.
La terribile fine di don Andrea Santoro, una vita dedicata agli altri stroncata ancora giovane, mi ha fatto pensare all’opera di evangelizzazione della Chiesa, al duro prezzo di sangue pagato da tanti missionari, alle bombe ad orologeria di odi tribali che vengono innescate e che, prima o poi, scoppiano come abbiamo recentemente visto in Africa e in Indonesia. Le domando: che ci faceva padre Santoro a Trebisonda? Perché inserirsi in una zona a cultura religiosa del tutto diversa? Lo schema è sempre lo stesso: creare una piccola comunità, magari attorno a un ospedale, poi un’enclave via via sempre più numerosa, fino a quando si entra in contraddizione con la cultura circostante che tende a espellere la tossina. Qual è lo scopo di tutto questo? Che differenza fa adorare il Dio cristiano al posto di quello musulmano o indù? È una forma di colonialismo
religioso che dovrebbe essere del tutto vietata. Pietro Ancona.
Caro Ancona, con una eccezione (l’ebraismo) le grandi religioni sono «apostoliche» e impegnate a diffondere nel mondo i principi della propria fede. Vi sono stati momenti nella storia del cristianesimo in cui questa vocazione ha avuto effettivamente caratteri coloniali. È accaduto quando le Chiese cristiane hanno cercato di trarre vantaggio dalla politica coloniale delle grandi potenze e sono state spesso percepite, nei territori conquistati, come l’«intendenza religiosa» dei dominatori. […] Non so come don Andrea Santoro esercitasse le sue funzioni pastorali a Trebisonda. Ma durante un recente viaggio al Cairo ho avuto l’impressione che i salesiani tengano conto della necessità di non ferire la sensibilità religiosa dell’ambiente in cui lavorano. […] Credo che lei abbia ragione, caro Ancona, quando osserva che queste attività missionarie, soprattutto oggi, possono venire interpretate improvvisamente come una forma di provocazione. Ma le grandi Chiese si considerano titolari della verità e sono convinte di offrire al catecumeno la prospettiva della salvezza. Il proselitismo, per esse, non è un optional. È la ragione della loro vita. Nei grandi incontri e scontri fra le religioni i liberali non possono chiedere alle Chiese di rinunciare a essere se stesse. Debbono limitarsi, come buoni poliziotti, a dirigere il traffico e a evitare, nella misura del possibile, le collisioni. Sergio Romano.
Domanda e risposta sono state pubblicate sul sito del Corriere della Sera

Archiviato in: Generale