L’ora di Corano

Se l’Italia fosse un paese laico abolirebbe l’ora di religione. Non solo non lo farà ma potrebbe introdurre anche l’insegnamento della religione islamica. Una questione di «par condicio». Finora la proposta dell’insegnamento del Corano avanzata dall’Unione delle comunità islamiche in Italia (Ucoii, vicina ai Fratelli musulmani) è minoritaria nella Consulta per l’islam italiano istituita dal ministro Pisanu, ma potrebbe farsi strada. Soprattutto grazie all’appoggio del Vaticano che si è subito espresso a favore della proposta: solidarietà tra integralisti. Le richieste dell’Ucoii vanno oltre e chiedono anche il controllo dei libri di testo. Che sicuramente andrebbero controllati ma da comitati scientifici e non da esponenti di varie religioni che rischierebbero, come già successo in passato, di far prevalere le credenze superstiziose sulla scienza facendo correre all’indietro l’orologio della storia. La conoscenza del Corano da parte di tutti gli studenti potrebbe essere un modo per conoscere l’altro, vista la presenza sempre più consistente di musulmani nel nostro paese. E la proposta sarebbe accettabile se l’ora di religione si occupasse di storia delle religioni – di tutte e non solo di quelle con maggiore potere contrattuale – e non di indottrinamento, ma forse per questo basterebbero le ore di storia visto che sempre di più le guerre vengono definite «di religione». Ma la storia non può certo essere insegnata dai docenti di religione indicati dalla curia. Il problema tuttavia nasce a monte: il riconoscimento dei musulmani che vivono in Italia – oppure in Francia o in un altro paese – sulla base dell’appartenenza religiosa invece che sul principio della cittadinanza. In questo modo si rafforzano le organizzazioni più radicali ed estremiste che fanno valere la propria presenza sul territorio per assumere la rappresentanza di tutta la comunità musulmana, credenti e non. È infatti un’infima minoranza (si dice il 5%) a frequentare le moschee, il cui controllo viene in gran parte riconosciuto all’Ucoii, mentre gli altri musulmani si riconoscono nei valori laici e nella Costituzione italiana e se hanno una fede la professano come scelta individuale. Chiedono, infatti, l’insegnamento dell’arabo a scuola, che oltre a essere la lingua del «libro» (Corano), può avere un uso molto più ampio. Riconoscere l’identità di un cittadino solo in base alla propria appartenenza religiosa comporta l’alternativa tra esclusione e affidamento alle organizzazioni religiose che possono così esercitare il controllo sui propri «fedeli», fino all’importazione di diktat religiosi (nei costumi. nell’insegnamento, etc.). L’Italia non è un paese laico ma non possiamo rinunciare all’idea che lo possa diventare.
L’articolo di Giuliana Sgrena è stato pubblicato sul sito del Manifesto

Archiviato in: Generale