Laurea in offerta speciale per i dipendenti del Viminale

Era dai tempi di Solforio, il personaggio di Alto Gradimento inventore del «pacco operaio, pacco del lavoratore», che non si vedevano offerte simili. Al posto del piumino termico, del set asciugamani o della mitica supposta a tre punte, ci sono ora le lauree facili. Proposte in convenzione come batterie di pentole. Una sagra di offerte speciali: e in più ti ci metto l’esame di diritto pubblico, più l’esame di statistica e più, mi voglio rovinare, l’esame di diritto privato! Da non perdere la proposta ai dipendenti del Viminale dell’«Università San Pio V»: solo 6 esami, lisci lisci, ed eccoti dottore! Per carità: è tutto formalmente in regola. La nuova legge prevede appunto che gli atenei possano riconoscere agli aspiranti laureandi dei «crediti», maturati facendo per anni un certo lavoro, che rendono loro superflua l’imposizione di un esame. Esempio: si suppone che un impiegato della Ragioneria dello Stato da venti anni addetto a leggere i bilanci si sia fatto col tempo una infarinatura intorno a certi argomenti e ne sappia perfino di più di qualche studente che ha appena dato l’esame. Fin qui, poche obiezioni. Alzi la mano chi oserebbe contestare un salvacondotto per una laurea agevolata in letteratura a Dario Fo, in storia del teatro a Giorgio Albertazzi o in scienze al paleontologo veneziano Giancarlo Ligabue, protagonista di decine di spedizioni per le maggiori università del mondo e autore di scoperte che oggi portano il suo nome come il Masrasector ligabuei (un creodeonte oligocenico) o l’Araripescorpius ligabuei (uno scorpione cretacico). L’innovazione ha però spalancato una porta nella quale hanno fatto irruzione un mucchio di atenei, spesso gli ultimi arrivati e i più discussi, che vanno in cerca di clienti esattamente come una compagnia assicurativa va in cerca di gente disposta a fare una polizza vita. […] L’Università telematica non statale Tel.ma, ad esempio, ha inviato ai sindacati dell’Usi/Rdb-Ricerca, la proposta di una convenzione già compilata in ogni dettaglio salvo un po’ di puntini di sospensione da riempire a cura della controparte. Nessuno però, per quanto se ne sa, ha messo all’amo le esche che ha messo la «Libera Università degli studi S. Pio V», di Roma, nella convenzione firmata con il ministero degli Interni. Nata nel 1996 con un forte «riferimento ai valori cristiani», guidata dal rettore Francesco Leoni, già docente a Chieti e a Cassino, additata da qualche malalingua come vicina all’Opus Dei e alla ciellina Compagnia delle Opere, la «S.Pio V» ha sede in via delle Sette Chiese (e ti pareva…) ed era già finita sui giornali. Prima per i nomi dei professori via via coinvolti, da Rocco Buttiglione a Salvo Andò, da don Giacomo Tantardini a Ferdinando Adornato. Poi per un convegno sui diritti umani. Convegno che, scartati i lugubri centri congressi moldavi e i cupi alberghi bulgari, venne organizzato nella caliente Avana con estensione a Varadero. E infine per le polemiche sollevate nell’ottobre 2003 da un sontuoso finanziamento: un milione e mezzo di euro l’anno corrispondente, secondo il diessino Walter Tocci che cercò inutilmente di mettersi di traverso, a dieci volte la somma media stanziata per le fondazioni private di ricerca. Così da suonare come un «regalo inspiegabile, ingiusto e offensivo per tutti gli altri». E da spingere Repubblica a bollare l’ateneo come «l’Università miracolata». Poco ma sicuro, altre polemiche scoppieranno adesso. Nella convenzione col Viminale, infatti, la «S. Pio V» offre ai dipendenti del ministero di «Area B» e con «Posizioni economiche B2 e B3» (per capirci traducendo dal burocratese: quelli che una volta si chiamavano gli impiegati di concetto) la possibilità di ottenere una laurea triennale in Scienze Politiche e Sociali facendo soltanto una manciata di esami: elementi di diritto e procedura penale, sociologia della devianza, sociologia dei processi culturali, storia delle relazioni internazionali, psicologia sociale, psicopatologia, geopolitica, pedagogia sociale, sociologia dei fenomeni politici, scienza della politica, diritto internazionale o dell’Ue e infine demografia. Totale: una dozzina di esami. Di quelli che gli studenti considerano da sempre, a torto o a ragione, «facili». […] E tutti gli altri, quelli più difficili? Abbonati. Ancora più ghiotta, però, è l’offerta agli aspiranti dottori che al Viminale hanno raggiunto grazie ai concorsi interni (più volte bocciati e sanzionati dai giudici, ma inutilmente) posizioni per le quali sulla carta sarebbe stato necessaria la laurea. Come i dirigenti prefettizi, quelli di «Area 1» e quelli di «Area C», vale a dire, molto schematicamente, i funzionari e i vecchi direttori di sezione. A loro, di esami, ne vengono abbonati 18. E che esami! Praticamente tutti, ma proprio tutti, quelli che i giuristi di lingua spagnola chiamano troncales perché costituiscono il tronco di un percorso universitario e mediamente tolgono il sonno agli studenti bravi e volonterosi inchiodandoli al tavolino per un paio di mesi l’uno: dal diritto pubblico al diritto amministrativo, da statistica a diritto privato, da economia politica a diritto costituzionale comparato. […] Sei prove in totale: bene, bravo, brindisi, lei è dottore. Alla faccia di chi attende da anni i concorsi per occupare i posti destinati ai laureati veri. Per carità: bene così. Purché si abolisca però, come invocano le persone serie, il valore legale dei titoli di studio. E purché ai nuovi dottori venga dato in omaggio, s’intende, un set di pentole antiaderente.
Fonte: Corriere.it

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