[…] Non esiste alcun obbligo, per la televisione pubblica italiana, quindi, di riservare spazio e tempo agli interventi papali, alle cerimonie di piazza San Pietro, alla Via Crucis pasquale nel Colosseo, ai viaggi del Pontefice in Italia e nel mondo. Ma la Chiesa romana è la maggiore istituzione religiosa del pianeta, il Papa è un personaggio universalmente conosciuto e Roma, per lunga tradizione storica, è anche (lo dico con il massimo di neutralità e distacco) una città papale. È impossibile immaginare, in queste circostanze, che i telegiornali della Rai ignorino i riti della Chiesa, i suoi eventi istituzionali e le pubbliche apparizioni del suo capo. Se lo facessero ignorerebbero deliberatamente l’interesse di una larga parte della società italiana per ciò che accade in Vaticano e tutti penserebbero, con qualche ragione, a una sottile forma di censura o, peggio, a una manifestazione di anticlericalismo.
Il problema, se mai, è il modo in cui la televisione pubblica e in particolare il Tg1 danno notizia di ciò che accade al di là del Tevere. Vi sono molte occasioni in cui la Rai, anziché comportarsi come un semplice reporter, veste gli abiti curiali degli scrivani di corte. Il tono di certe cronache non è quello distaccato del cronista, ma quello deferente del devoto. Il risultato è un materiale sovrabbondante, prevalentemente apologetico. Là dove una televisione straniera si limiterebbe a dare notizia dell’evento e a cogliere il suo aspetto più importante, la telecamera insiste affettuosamente sui particolari, esplora le espressioni della folla entusiasta, sceglie volti anonimi di suore, bambini, turisti. […]
Il testo integrale dell’intervento di Sergio Romano è stato pubblicato sul sito del Corriere della Sera