Napolitano e la laicità (dall’archivio UAAR)

L’UAAR sta ricevendo diverse richieste volte a conoscere la posizione del nuovo Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sui temi della laicità. In linea con il suo temperamento, poco incline ad esporsi, Napolitano è stato quanto mai parco di dichiarazioni anche sul tema della laicità e, più in generale, della religiosità. Può essere quindi utile rileggere il testo integrale di una sua intervista rilasciata a Felice Saulino del Corriere della Sera il 20 agosto 2000, nei giorni della GMG.
«Io per adunate oceaniche intendo quelle che venivano realizzate in Paesi a regime totalitario», è il commento a caldo di Giorgio Napolitano, l’ultimo grande vecchio della sinistra italiana ancora in attività. «Se invece per adunate oceaniche s’intendono anche le grandi manifestazioni popolari di massa che si sono tenute in Paesi democratici come l’Italia… penso che le iniziative dell’allora partito comunista, della sinistra, dei sindacati non meritino alcuna etichettatura spregiativa. Erano organizzate in piena libertà, a partecipazione assolutamente volontaria e basate sulla persuasione. Certo, è più difficile pensarle in questo momento».
Rimpianti?
«Nessun rimpianto di nessuna ideologia, ovviamente nemmeno di quella comunista come si materializzò nell’esperienza dei regimi dell’Est, però ci sono valori in cui ci si può riconoscere credenti e non credenti».
Ma due milioni di Papa-boys non rappresentano un evento?
«Un fatto straordinario, certo, di cui tuttavia si può dare più di una interpretazione, come per esempio quella di Montanelli: una protesta, se non una rivolta contro un modo di vita. Di sicuro, un connotato importante è l’antitesi a un individualismo passivo, asociale e senza principi».
Il pontefice propone un manifesto cristiano per il terzo millennio.
«La sensibilità per grandi temi come la giustizia del mondo e la violenza non sono riconducibili in modo esclusivo a una scelta cristiana. Viviamo in un mondo di pluralità religiosa, ideale e culturale. Siamo di fronte a una visione d’insieme dei problemi del mondo e del futuro che possono presentare molti punti di contatto con visioni che vengono da forze politiche e correnti culturali laiche».
Però quello di Tor Vergata è un raduno di giovani cattolici.
«È chiaro che per la riscoperta e la riproposizione in queste forme di un sentimento, di un moto collettivo hanno operato fortemente l’appello ai valori che la Chiesta può esprimere e il fascino di una grande figura carismatica come papa Wojtyla»
Resta il fatto che il mondo laico balbetta.
«Mettere quasi sotto accusa la cultura laica per cedimento è una cosa che non condivido. Ad esempio, non sono affatto convinto che il valore della solidarietà sia estraneo alla storia della sinistra e quasi mutuato dal mondo cattolico. Ricordo come, all’inizio del periodo di ricostruzione democratica del Paese, all’epoca della Costituente si soleva dire che lì bisognava realizzare l’incontro tra due solidarismi: quello socialista e comunista, siamo nel ‘46, e quello cattolico».
Lei non crede nella superiorità della fede ?
«Io ci andrei un po’ cauto nel dire che i valori della sinistra non ci sono più, non si vedono più. Non dobbiamo essere provinciali. Se parliamo dell’Europa, parliamo di un movimento socialista che è pieno di problemi ma che è ben vitale e lo dimostra anche governando».
Allora come spiega il grande appeal della Chiesa sui giovani?
«La Chiesa è una straordinaria entità universale. Ed è molto più complicato per qualsiasi movimento laico non fondato sulla fede, ma su ideali, valori, programmi realizzare una simile universalità. Il presidente dell’Internazionale socialista (anche se fosse ancora un personaggio dello spessore di Willy Brandt) non può rendersi promotore e protagonista di eventi come questo di Tor Vergata. È comprensibile. Ma non indica necessariamente un declino, uno spegnimento della sinistra e della laicità».

Un commento di Vera Pegna:
Sarebbe il caso di aggiungere due cose: che Napoletano ha fatto parte della Convenzione che ha preparato la bozza del trattato costituzionale europeo e non risulta che abbia avuto niente in contrario al famigerato articolo 52 che Ratzinger ricorda adesso con soddisfazione. La sola voce italiana discorde è stata quella di Elena Paciotti la quale ha presentato un bel emendamento insieme a parlamentari di altri paesi. In secondo luogo, pur capendo che era difficile per Napoletano non menzionare il Papa nel suo primo discorso agli italiani e pur notando che lo ha chiamato “pontefice” e non “santo padre” come Ciampi, avrebbe potuto risparmiare l’aggettivo “deferente” nel suo saluto.

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