Bettany, il “cattivo” del Codice: “La Chiesa esagera, è solo un thriller”

[…] Ne è convinto Paul Bettany, 35 anni, uno dei protagonisti del film più pubblicizzato, chiacchierato, contestato, avversato, atteso della stagione: Il Codice da Vinci, evento d’apertura, il 17 maggio, del Festival di Cannes, in uscita due giorni dopo nelle sale italiane. Bettany interpreta Silas, il monaco-killer. Le polemiche sollevate dal film lo lasciano perplesso. “È una storia avventurosa, un thriller, cosa c’è di sconvolgente? Quella raccontata nel libro è una storia avvincente – osserva l’attore – non ho mai pensato che fosse filosofia, che dietro alle teorie di Dan Brown ci fosse qualcosa di vero. Non l’ho letto per una crescita personale, ma per evasione. Questo è lo spirito giusto con cui andare a vedere il film”. Bettany replica a chi definisce “offensive” le tesi del romanzo, e nel film: “Forse dipende dall’epoca in cui viviamo, il difficile momento storico. Quando uscì Il Padrino – ricorda – nessuno si scandalizzò perché Francis Ford Coppola aveva ipotizzato un coinvolgimento del Papa in affari loschi. Nessuno manifestò davanti a casa sua o nelle piazze. È incredibile come la Chiesa possa esercitare, oggi, tanta influenza nella politica e, più in generale, nella vita quotidiana”. In quanto al suo personaggio, Silas, Bettany preferisce non parlare di “un fondamentalista”, “termine pericoloso oggi, perché evoca altro, fa pensare al terrorismo. Non penso che sia corretto per parlare del mio personaggio, né credo fosse questo che Dan Brown aveva in mente. Si tratta di un estremista, un pazzo, un’arma nelle mani di un’organizzazione senza scrupoli”. A quell’organizzazione, Brown dà un nome, Opus Dei. Ma Bettany precisa (e conferma): “Quel nome non è stato usato nel film”. […] “Penso che le religioni possano fare molte cose, non tutte positive. La storia è piena di fatti che testimoniano il potere della religione di sconvolgere la vita delle persone, oltre che di dare loro conforto”. Lui si definisce “ateo”, spiega di essere cresciuto in una scuola cattolica e di avere comunque “imparato proprio tanto, alcune cose, alcuni valori, molto importanti. Amavo andare in Chiesa, l’odore che sentivo, il fatto che le persone sedevano l’una accanto all’altra, come a teatro, in silenzio, catturate dallo stesso momento. Il sipario si apre, gli attori entrano in scena, il pubblico assiste. C’è un’assonanza forte fra il rito religioso e quello dello spettacolo”. […]
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