L’Opus Dei batte il Codice da Vinci

Le scuole di giornalismo, gli uffici public relations delle grandi aziende, i portavoce dei partiti e delle istituzioni dovrebbero organizzare seminari sul «Codice da Vinci». Non sul thriller di Dan Brown e neppure sul film di Ron Howard. Sulla reazione dell’Opus Dei al ritratto nefasto dell’organizzazione cattolica. Anziché denunciare, smentire, trascinare autore e regista in tribunale, la «prelatura personale» fondata da san Josemarìa Escrivà de Balaguer, ha colto l’occasione per aprirsi al dialogo con i giornalisti, fin qui detestati e messi al bando. Non trincerandosi dietro la tradizionale segretezza, l’Opus Dei — definita dalla stampa anglosassone «Octopus Dei» la piovra di Dio, per gli interessi riservati — ha chiesto ai suoi esponenti di ricevere e discutere con i cronisti, ha aperto gli archivi al più rispettato vaticanista americano, John Allen per un suo libro, e ha perfino scherzato sul cilicio, la maglia di ferro medievale che alcuni esponenti indossano per penitenza, come il monaco killer Silas nel romanzo di Brown e nel film polpettone deprecato a Cannes. Funziona. Davanti a un tomo che rivaleggia con la Bibbia nelle librerie del mondo, se Javier Echevarrìa, erede di Escrivà, e i suoi collaboratori si fossero chiusi nel riserbo, nell’ambiguità, magari minacciando editori, giornalisti, esponenti dell’opinione pubblica, avrebbero solo confermato le cupe prospettive tinteggiate da Brown e Howard. Potevano aspettare in silenzio, arroccati nel mega edificio dello stato maggiore Opus Dei a New York che la bufera passasse. Invece hanno compreso che il best seller di Brown, pur con le sue imprecisioni […], ha però emozionato l’opinione pubblica, facendo leva sul culto per la chiusura che l’Opus Dei ha coltivato dalla fondazione, in Spagna, 2 ottobre 1928. Impugnando le critiche, anche le più radicali, al limite della diffamazione, con serenità, ironia, certezza della propria identità l’Opus Dei ha, in poche
settimane, diradato le nuvole che la perseguitavano, quando era impossibile accertare se l’ex governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, il giudice della Corte Suprema Usa Antonin Scalia, il senatore Santorum o la ministro inglese Ruth Kelly aderissero, o no, all’Opus Dei. «Il “Codice da Vinci”? Ci rende più forti», dice Echevarrìa a Vittorio Messori sul Corriere. «Per noi Dan Brown è un dono della Provvidenza. Grazie alle sue mistificazioni possiamo finalmente farci conoscere meglio per quel che siamo. Ecco perché…la nostra difesa oggi è l’attacco» dichiara a Panorama il portavoce italiano Opus Dei Giuseppe Corigliano e gli fa eco, su Newsweek il vicario americano dell’Opera, Thomas Bohlin che, per spiegare come la prelatura personale influenzi i suoi 85 mila aderenti nel mondo, non parla di cilici, non si affanna a smentire i transfughi che denunciano lavaggi del cervello e cultura da setta. Ricorda piuttosto i corsi per manager stile Dale Carnegie, dove si apprende un modello e poi lo si usa a modo proprio. E sulle critiche all’opulenza dell’Opus Dei, accusata spesso di sostenere gli affari meno limpidi del Vaticano con una cassaforte ricca di due miliardi di euro, Bohlin se la cava in battuta: «Beh, non siamo come i francescani che vanno in giro con le scarpe bucate guidando macinini scassati». Una svolta, da studiare con attenzione. Quando Kenneth Woodward, lo studioso autore del saggio «La fabbrica dei santi», rilanciò le accuse di antisemitismo rivolte a Escrivà e al troppo rapido processo di beatificazione, l’Opus Dei tirò le fila dietro le quinte, protestando grazie ai suoi membri più influenti contro le critiche. Ora addio al «no comment» e via con le interviste.[…]
L’articolo completo è raggiungibile sul sito del Corriere
A riprova della cultura del marketing che sta dietro la Chiesa Cattolica, è significativa la risposta ad un’intervista al monsignor Ernesto Vecchi che è apparsa sul libro Gesù Lava Più Bianco di Bruno Ballardini: -“La Chiesa ha preso lezioni di marketing?” R: “Scherziamo? La Chiesa puo’ solo darne, di lezioni. Le aziende mortificano gli uomini misurandone la produzione, noi invece sappiamo valorizzarli. Il marketing? Ha cominciato Gesù, già duemila anni fa”

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