In quel documento si precisava l’ambito dell’iniziativa e non mancavano parole come «sconcerto», «disagio», «mancanza di precedenti», «insufficiente fondamento biblico». La stessa presenza del Cardinal prefetto alla liturgia – i cui testi erano stati da lui attentamente rivisti e in molti punti ritoccati – fu una sorta di garanzia che il rigore tedesco avrebbe sorvegliato la pur generosa passionalità slava che rischiava di «scuotere la fiducia di molti verso la Chiesa», come ammoniva il Documento dell’ex Sant’Uffizio. […] Benedetto XVI, nel discorso di ieri, ha innanzitutto ricondotto le richieste di perdono alla dottrina tradizionale: ogni ambiguità va superata, precisando che – come sempre il cattolico ha saputo – la Chiesa è santa e chi pecca e sbaglia non è essa, sono i suoi figli infedeli. Inoltre: sarebbe errato e ingiusto «impancarsi a giudici delle generazioni precedenti, vissute in altri tempi e in altre circostanze». Dunque, pecca di anacronismo e di ingiustizia chi voglia giudicare la storia della Chiesa servendosi dell’attuale vulgata egemone, quella del liberal politicamente corretto. Ancora: chi pretende di giudicare la storia deve conoscerla bene e, pertanto, «non deve indulgere a facili accuse in assenza di prove reali o ignorando le precomprensioni di allora, diverse dalle nostre». Infine, «chiedendo perdono del male commesso nel passato dobbiamo anche ricordare il bene compiuto con l’aiuto della Grazia che, pur in vasi di creta, ha portato frutti spesso eccellenti». Quella di Ratzinger non è stata, ovviamente, una sconfessione ma la riproposta di precisazioni già da lui chieste e ribadite ora con l’autorità pontificale. I cattolici, ricorda, non dimentichino che il peccato è stato sempre presente anche tra loro, che è doverosa umiltà confessarlo e proporre di ravvedersi. Ma la miseria che accomuna tutti gli uomini, credenti compresi, non tocca la veste candida che (per la fede, ovviamente), riveste quella Chiesa nella quale già san Paolo scorgeva la Persona stessa del Cristo che cammina nella storia.
Il testo integrale dell’articolo di Vittorio Messori è stato pubblicato sul sito del Corriere della Sera