Per la prima volta un Papa riflette sul passato del suo Paese e del mondo con parole che non sono di religione, non sono di magistero e non sono – non vogliono essere – universali. Benedetto XVI, cresciuto in Germania sotto il nazismo, e ieri in visita alla più tremenda reliquia dell´invasione nazista in Europa – ciò che resta dei campi di sterminio di Auschwitz e Birkenau – ieri ha parlato da tedesco che ricorda la storia tedesca, probabilmente al modo di molti altri tedeschi della sua generazione. Bisogna pur convivere col passato, anche quando quel passato è assurdo e impossibile da guardare in faccia come la memoria di una grande, efficiente, meticolosa macchina di sterminio. I governi tedeschi del dopoguerra, e la gran parte degli intellettuali di quel Paese, hanno scelto la strada dura del guardare in faccia l´impossibile verità, e anzi di impedire – per legge, con l´insegnamento, con intere biblioteche di testimonianza – che la tremenda verità possa essere negata. Hanno lavorato molto (più intensamente, con più tenacia di altri governi e altre culture europee) per impedire che si potesse dare una versione mite, riduttivistica del nazismo. E hanno tenuto ferma in tutti questi anni la cruda e incancellabile definizione: un regime di sterminio, una meticolosa politica di sterminio, largamente sostenuta e condivisa anche attraverso poderosi apparati di indottrinamento e di propaganda, diretta contro molti nemici ma soprattutto contro il popolo ebreo di tutta Europa. Mai nessuno avrebbe potuto dire in Germania ciò che si è detto con disinvoltura in Italia: che i fascisti non erano poi tanto cattivi e mandavano gli avversari a prendere il sole nelle isole. […] Benedetto XVI, di fronte ai cancelli di Auschwitz e Birkenau, ha usato due sole volte la parola che rappresenta il destino assegnato dai nazisti agli Ebrei, la Shoah. Ha nominato Stalin fra i mali del mondo (ha certamente ragione, ma ha dimenticato che sono state le truppe sovietiche ad abbattere i cancelli del luogo di sterminio tedesco-nazista da cui stava parlando). Non ha mai nominato Hitler. Ha voluto lui stesso avvertire il mondo della differenza rispetto al suo predecessore. Giovanni Paolo II era polacco. Questo Papa è tedesco. Ha parlato da cittadino medio, nato e per un po´ vissuto nell´epoca spaventosa del nazismo. Come tanti della sua generazione ha usato i due più diffusi argomenti per rendere la memoria meno invivibile, per neutralizzare l´immagine che da sessant´anni è impressa nella memoria del mondo e che è stata nitidamente rappresentata dal titolo del non dimenticabile libro di Goldenhagen, «I volenterosi carnefici di Hitler». […] E allora il cittadino tedesco Ratzinger ha detto che la Germania, nel periodo che noi chiamiamo nazismo, è stata vittima di un imbroglio. Cercava onore e dignità per la patria ed è caduta nelle mani di un gruppo di criminali. È finita sotto un governo cattivo e dispotico. Ecco, secondo Ratzinger la storia della Germania e dell´Europa dal 1933 al 1945 è tutta qui. E poiché il tremendo progetto dominante di distruggere gli ebrei, fino all´ultimo vecchio, fino all´ultimo bambino (un progetto così dominate da mettere la Germania in condizioni di perdere la guerra pur di portarlo a compimento) è troppo grande da sopportare, facciamo seguire una lunga lista di tante diverse nazioni e popoli e vittime, una lista in cui gli ebrei non sono neppure al primo posto. Tutti travolti da una brutta guerra e da un governo cattivo che ha agito da solo. […] Ratzinger si è messo accanto ad un modo di pensare raramente dichiarato, ma forse largamente condiviso da tanti altri tedeschi che hanno vissuto il nazismo e – comprensibilmente – non amano ricordarlo così come era: una perfetta e totale macchina di consenso ubbidiente. Il cittadino tedesco Ratzinger con una memoria spiegabilmente solidale con la sua patria e con tanti suoi coetanei concittadini, ha preso e guidato, per un momento la mano di un Papa. Dal Papa, da quel luogo e in quel giorno tanti nel mondo si aspettavano parole più grandi. […]
Fonte: Unità.it